Ricordo che anni fa, durante un talkshow TV, qualcuno, di cui purtroppo non ricordo il nome, si affannò a spiegare il significato ed il presunto valore dell’assunto grillino “uno vale uno”.

Già allora cercai, senza riuscirci, di comprendere il senso di quella che mi sembrava una banale freddura tratta da uno dei molti sketch del giullare genovese, anche perché presupponeva che tutti gli esseri umani fossero prodotti con uno stesso stampino.

Infatti, non è solo la negazione di qualsivoglia forma di meritocrazia ma, nella sua banalità l’assunto grillino ignora che ogni individuo porta con sé, fin dai primi anni di vita un bagaglio crescente di cultura ed educazione, di conoscenze ed esperienze, di capacità e competenze, di abitudini ed idee, di valori ed aspirazioni.

Il che rende impossibile ed ingannevole qualsiasi equivalenza tra ogni individuo ed i suoi simili, persino consanguinei.

È lecito domandarsi, in questi giorni, se questa ambiguità non sia tra le vere cause delle tensioni che da mesi oramai attanagliano il M5S.

Fino a quando si era trattato, infatti, di incontrarsi nelle piazze per i tradizionali Vaffa la idiozia del “uno vale uno” non faceva danni perché i militanti e simpatizzanti grillini vivevano quei momenti come occasioni per fare casino e sollazzarsi.

La ibernazione di fatto del “uno vale uno” proseguì anche dopo, negli anni 2013-2018, quando i rappresentanti del M5S per la prima volta approdati nel Parlamento nazionale sedevano però sugli scranni dell’opposizione .

Poiché obiettivo degli eletti grillini era quello di portare nelle aule parlamentari la protesta delle piazze, nonostante la loro eterogeneità non nacquero situazioni di conflittualità interna.

Solo dopo le elezioni politiche del 2018, che assegnarono al M5S la palma di partito di maggioranza relativa, si incominciarono ad avvertire invece, i primi dissapori intestini.

Innanzitutto perché il movimento formalizzò un abbozzo di gerarchia, esplicitando ruoli ai quali furono delegati individui imposti da Grillo e non certo per meriti acquisiti.

In secondo luogo perché essere partito di maggioranza relativa costrinse il movimento a gestire lunghe e caotiche trattative pur di formare un governo.

Trattative visibilmente condotte con pressappochismo, incompetenza e con l’unico evidente scopo di trovare il modo per zompare sulle poltrone ministeriali.

In quei giorni, in quelle ore coloro che, in campagna elettorale, si erano spesi contro Lega e soprattutto Berlusconi si rosero il fegato nel vedere Di Maio in trepida attesa che da Arcore giungesse l’OK alla formazione del governo.

Molti degli eletti non gradirono, poi, che non certo per capacità e competenza ma solo per narcisismo, lo stesso Di Maio accentrasse nelle sue mani oltre al ruolo di capo politico del movimento anche quelli di vice-premier, ministro del lavoro e ministro dello sviluppo economico.

Crebbero così i dissapori per l'assenza di Di Maio nella gestione politica del movimento convincendo il giullare genovese ad introdurre la figura del capo politico reggente.

Con il trascorrere dei mesi, però, il dissenso è lievitato oltre sia per i rovinosi risultati elettorali, ad europee ed amministrative, sia per molte scelte imposte e non condivise da quanti, esseri pensanti, non si conformavano al “uno vale uno”.

Fino al truffaldino quesito sottoposto ai militanti per scegliere il “si” o “no” al governo Draghi.

Ancora un volta il giullare genovese, convinto in cuor suo che “lui vale tutti”, ha voluto imporre al giocattolo la sua volontà, una scelta rifiutata da quanti hanno deciso di non sconfessare ancora una volta quanto promesso agli elettori.

E' evidente, quindi, che in questi giorni il M5S sta scommettendo il suo futuro sulla contrapposizione, di fatto, tra chi vuole fare del movimento uno strumento per il potere e chi, invece, intende prioritario rimanere fedele agli ideali fondativi.

Ecco perché una scissione sembra inevitabile.

È difficile immaginare, infatti, che coloro che oramai hanno assaporato il potere ed i suoi vantaggi siano disposti, oggi, a rinunciarvi per il rispetto dovuto agli elettori.