Le tensioni con il Kosovo non fanno dimenticare ai vertici politici della Serbia la situazione complicata dell’intero scacchiere europeo. E in effetti la posizione di Belgrado ogni tanto richiede degli aggiustamenti per rimanere in equilibrio fra forze che si stanno combattendo in modo sempre più intenso.
La candidatura all’Unione Europea e il voto favorevole alle risoluzioni ONU di condanna dell’operazione militare speciale russa non significano automaticamente l’assenso a qualunque iniziativa del blocco occidentale. Un’Occidente che in questo non è nemmeno un blocco granitico, ma è la voce di una parte di esso, quello che si schiera con la Corte Penale Internazionale.
La CPI è un ente che non viene riconosciuto dagli Stati Uniti e nemmeno dall’Ucraina, così come non lo è dall’India, dalla Cina, da Israele e dalla Turchia (e da altri Paesi ancora).
Il mandato di cattura che essa ha spiccato contro Putin ha dunque una valenza forse solamente simbolica, la cui pochezza giuridica e fattuale viene denunciata proprio dal presidente serbo Aleksandar Vučić, il quale ne sottolinea anche la pericolosità a livello di conseguenze politiche e forse persino belliche.
Secondo Vučić è solamente una mossa provocatoria, con scopi propagandistici ma con nessun effetto pratico positivo. L’unico effetto è negativo e può consistere solo nel tagliare i canali di dialogo ancora rimasti aperti con il Cremlino.
Vučić fa inoltre un appunto agli strateghi della NATO, chiedendosi retoricamente se pensano davvero di riuscire a sconfiggere la Russia in breve tempo, magari anche fra un anno. Servirebbe invece insistere sulla via diplomatica per trovare una soluzione al conflitto, ma da parte occidentale non sembra esservi questa intenzione.