Tempo fa parlai di metasemantica, un divertente espediente letterario reso celebre da Fosco Maraini. Oggi sperimenterò una cosa un po’ diversa ma sempre molto utile nell’esercitare la prosa e l’estro narrativo: la metaletteratura.

Nello specifico si tratta di una metapoesia; ancor più propriamente di una “poesia sulla poesia”, che non è proprio autoreferenziale ma una rielaborazione dell'originale capolavoro di Leopardi “L’infinito”, una delle più belle poesie mai scritte, interpretata in terza persona con la chiave narrante di un ipotetico osservatore anch’egli poeta, di cui provo a vestire i panni.

L’approccio alla metapoetica, e alla metaletteratura in generale, permette di accrescere le proprie capacità di comprensione letteraria e, cosa altrettanto importante, l’abilità di riportare pensieri e tradurre i propri in una forma scritta formalmente corretta, ben argomentata, ed esauriente anche dal punto di vista logico. E’ come imparare a guidare senza istruttore: esplorando il proprio mezzo e cercando di comprenderne i meccanismi che lo fanno andare.

L’infinito metapoetico

Dall’altura solitaria che fu cara,
e dalla siepe innanzi,
cielo e terra presentarono un confine:
spiraglio nel verdeggiante ingombro.

Serenissima calma pervase ogni cosa.
E l’immaginario aleggiò sciolto
superando l’ostacolo frapposto
e presentando meraviglie sconfinate.

Immane vi abitava la catarsi
che il cor si perdette in commozione,
mentre il vento tra le foglie vive
sussurrò il suo silenzio d’infinito.

L’eterno si appalesa!
Con lui anche il passato caro,
e il tempo odierno
assieme alla sua voce.

Ecco, adesso, l’annegante immenso
ed è dolce naufragare in questo mare.

(AE, 05/2023)


📸 base foto: G. Leopardi, nel ritratto di Domenico Morelli (1842); sullo sfondo la biblioteca di casa Leopardi, in una foto di Quinok, Wikipedia