Albinando sul sentiero

In bilico vasciai:
affurro e magnìfugo senza bìgia.
Colsi famirri e scossi i dossi
per drogar ogn'ora d’impavidi pedrossi

Nulla mi fu ardetto,
pur dimenando l’umbelletto.
E frullo di carsimma obliai solingo,
giacché l’ersìa si poté sorbare

Corsi belungo e assai bardello,
posto che il giusso non fu mai un fello,
a simma simma, come a far carponi,
giunsi desiànte a lmitar l’ostello.

Balzi farbellosi e limi.
Urbi conpiguri e vami.
E folunghi, dardi, basci grumi
lambivano congiunti i vimilumi

Oh, galvigni barillanti!
Agite voi come lorchi, e non braganti?
Che amilaste domi i vasci pomi,
per damare zufulanti i manicomi!

Tornai al ribotto.
Avulso e deluroso di mengare,
Barillare non fu di mio intento,
ma di stimma e lorco ricercai l’invento.

(AE, 11/2022)



Tra i rami fecondi della cultura ci sono anche quelli curiosi e divertenti. Rappresentano un piacevole passatempo e stimolano la fantasia, che a sua volta è uno dei pilastri dell’intelligenza. Oggi vi sto parlando della metasemantica, che personalmente trovo molto divertente e uso quotidianamente con familiari e amici. Un espediente per ricavare momenti di attenzione diversa, stimolando l’arguzia con il disimpegno della serietà. Insomma… li tedio.

E ho appena tediato anche voi con la mia poesia metasemantica, che ho scritto al volo e vi ho proposto sopra. Vi è piaciuta? Avete immaginato un qualche scenario/significato?

Possono sembrare delle “supercazzole”, e in effetti hanno molte affinità con esse. Ma la metasemantica se ne differenzia perché deve essere concepita come una serratura: l’espediente letterario deve poter accogliere una chiave che apra a un qualche significato di senso compiuto. Quando avviene in un dialogo, e magari in un preciso contesto, la chiave può apparire quasi immediata.

In un vecchio film con Gene Wilder, di cui non ricordo il titolo, il protagonista da lui interpretato aveva un leggero problema di afasia che in momenti di particolare tensione lo induceva a pasticciare con le parole, formando frasi metasemantiche molto esilaranti. Ne ricordo una che diceva alla moglie: «Lampa la spegnola e vieni a lucio!». Il contesto inequivocabile della camera da letto, con lui già coricato e la moglie ancora alzata in pigiama, faceva intuire immediatamente che volesse dire «Spegni la luce e vieni a letto!».

Divertente, no?

Serve costruire una struttura in cui le parole senza significato assumano comunque un suono familiare, riuscendo ad ancorarsi al filo del discorso o all’argomento, e svelando così un significato sottostante. Questo non deve essere necessariamente univoco, anzi se si riesce a concepire uno schema tale da proiettare più soluzioni interpretative, diventa ancora più stimolante e divertente.

Sebbene abbia radici più antiche, la genesi della poesia metasemantica si fa risalire all’antropologo, scrittore e poeta, Fosco Maraini, padre della scrittrice Dacia. Di lui è particolarmente nota la poesia “Il Lonfo”, pubblicata nel 1966 nel libretto “Le Fànfole”, e nel 1998 in “Gnosi delle fànfole”, un album Jazz a cura di Bollani e Altomare. E’ stata resa famosa da Gigi Proietti, che la interpretò magistralmente; mentre in tempi più recenti, se fate una ricerca sul web, trovate anche una divertente parodia di questa poesia interpretata da una bambina dolcissima e dal suo papà che se ne prende amabilmente gioco.



Base foto: Enrique Meseguer da Pixabay