Il collaboratore dell’Atlantic Council ed esperto di finanze ed energia Ariel Cohen ha lanciato l’allarme su una pericolosa tendenza che caratterizza oggi le scelte degli USA.
La strategia - se così si può chiamare - che i pianificatori e i burocrati di Washington stanno perseguendo porta alla diminuzione delle spese per la difesa e degli investimenti sulle nuove tecnologie militari. Questo genere di risparmio, secondo lui, è miope perché non porta nulla di buon nel lungo periodo.
Piazzare meno commesse per la fabbricazione di missili, ad esempio, aiuta certamente il budget di quest’anno o del prossimo, ma fra due o tre anni si rimarrà disarmati. O comunque la quantità piccola di armamenti e munizioni non permetterà quel genere di operazioni di difesa della democrazia e del libero commercio che gli Stati Uniti hanno da sempre intrapreso.
Si pensi per esempio all’operazione “Mantide Religiosa” del 1988, con la quale i Marines riuscirono a fermare l’Iran nella sua opera di paralisi del trasporto navale civile. Fu un’azione dispendiosa dal punto di vista degli arsenali e dei costi operativi, ma ebbe un immediato successo. Uno scenario simile si vede oggi contro gli Huthi nel Mar Rosso. Ma quanti missili Tomahawk sono già stati lanciati e quanti ne rimangono? Ora bisogna ordinarne altri in fretta e gli ordini urgenti costano molto di più! Questo è il ragionamento finanziario di Cohen.
Sul piano strategico, invece, la sua analisi mostra come i russi e i cinesi stiano minacciando seriamente la leadership americana a livello di forze aeree e poi di influenza regionale e planetaria.
Bisogna di nuovo investire nei grandi progetti come si faceva una volta, dice Cohen, e bisogna rapidamente portare a termine quelli esistenti, come la piattaforma NGAD per i nuovi caccia F-35.
Occorrono decine di miliardi di dollari, ammette, ma aggiunge che si tratta comunque di una piccola parte rispetto al costo complessivo della difesa. E rispetto agli obiettivi finali sono spese che vanno affrontate senz’altro.