In fondo era uno dei contenuti del suo programma che metteva al primo posto gli interessi degli americani. Trump, infatti,  è stato eletto presidente degli Stati Uniti anche per riportare a casa le truppe americane dalla Siria.

L'Isis è stato sconfitto? Ha chiesto Trump. I suoi consulenti gli hanno risposto di sì e lui di rimando ha detto: allora perché continuiamo a rimanere in Siria? Una risposta dalla logica inoppugnabile, ma non sufficiente a convincere una platea di persone che hanno trovato incomprensibile la sua decisione di ritirare dal Paese i 2mila militari presenti nel nord.

Non sono d'accordo gli alleati degli Stati Uniti, non sono d'accordo i repubblicani al Congresso, non sono d'accordo i militari al Pentagono e non sono d'accordo neppure molti membri della stessa amministrazione Usa.

Una decisione incomprensibile, secondo costoro, perché se è pur vero che l'Isis possa non costituire più una minaccia reale in Siria (almeno nell'immediato), uscendo da quella nazione gli Usa avranno meno influenza nelle trattative post guerra per la suddivisione del territorio, aumentando in tal modo l'influenza nell'area da parte della Russia e dell'Iran.

Per questi motivi sono in molti a ritenere incomprensibile la decisione di Trump.


A questo punto, anche la presenza degli Usa in Afghanistan, che dura da 17 anni e ha dislocato in quel territorio circa 15mila soldati che aiutano le truppe governative a combattere i talebani, e quella in Iraq, dove 5mila militari statunitensi sono impegnati nell'addestramento delle forze di sicurezza locali, potrebbe essere riconsiderata.

Secondo molti analisti, questo sarebbe ciò su cui gli estremisti islamici conterebbero per riprendere forza in medio oriente.