Nell'inchiesta della Procura di Verona su episodi di torture, maltrattamenti e peculato ai danni di immigrati e senza tetto, oltre ad un ispettore e quattro agenti da ieri agli arresti domiciliari, la Procura ha chiesto al gip l'applicazione di misure interdittive anche per altri 17 poliziotti coinvolti nella vicenda.
Nei loro confronti la Procura scaligera avrebbe chiesto al gip che si occupa dell'inchiesta, Livia Magri, l'applicazione di misure interdittive, come la sospensione dal servizio o il trasferimento d'ufficio.
Una vicenda che sta assumendo contorni sempre più inquietanti, sia per le dimensioni che per la violenza perpetrata nei confronti delle vittime.
Così si è espresso al riguardo il ministro dell'Interno Piantedosi:
"Le vicende che emergono dall'inchiesta di Verona, ove fossero confermate, sarebbero di enorme gravità, lesive innanzitutto della dignità delle vittime, ma anche dell'onore e della reputazione di migliaia di donne e uomini della Polizia di Stato che quotidianamente svolgono il proprio servizio ai cittadini con dedizione e sacrificio".
E pure il sindacato Sap, sempre molto accomodante sull'operato della Polizia, stavolta ha diffuso dichiarazioni che non lasciano spazio ad interpretazioni:
"Se verificati, i fatti sono molto gravi e inspiegabili e se anche eventualmente commessi solo da una piccolissima parte non possono essere tollerati e vanno giustamente perseguiti".
Ma che cosa facevano i poliziotti sotto inchiesta? Questa è l'intercettazione di uno degli arrestati, il 24enne Alessandro Migliore, riportata da Repubblica:
"Amo', appena mi guarda - mi ero messo il guanto - ho caricato una stecca, amo': bam! Lui chiude gli occhi... di sasso... per terra, è andato a finire. È rimasto là. È svenuto. Si è irrigidito tutto ed è caduto, sai? Hai presente i ko?"
Allucinante.
E lo diventa ancora di più pensando che l'attuale premier, Giorgia Meloni, ha più volte espresso la volontà di voler abolire il reato di tortura, tanto che le forze di destra-centro hanno presentato una proposta abrogativa in tal senso, utilizzando persino argomentazioni al limite del surreale, come dimostra quanto riportato nella relazione accompagnatoria dove si legge che a lasciar sopravvivere l'attuale disciplina legislativa [del reato di tortura] gli appartenenti alla polizia penitenziaria che debbono procedere alla collocazione del detenuto in una cella sovraffollata (…) rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato, a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi.
E se queste sarebbero le motivazioni per abrogarlo, evidentemente, le ragioni vere debbono essere altre e riassumibili nel "tutelare adeguatamente l'onorabilità e l'immagine delle Forze di polizia".
Un'affermazione che, in pratica, viene del tutto smentita da quanto accaduto a Verona, vicenda che dimostra l'esatto contrario.
E guarda caso i due leader dell'estrema destra parlamentare, sfegatati sostenitori dell'abrogazione del reato di tortura, di quanto accaduto a Verona, curiosamente, finora non ne hanno parlato, a partire dai loro profili social. E non è certo un caso.
E approfittando dei fatti di Verona, anche Amentsty è tornata sull'argomento dell'abolizione del reato di tortura con questo comunicato rilasciato oggi:
"A coloro che, in parlamento e nel governo, spingono per una revisione delle norme in materia di tortura con l'obiettivo, neanche mascherato, di abolirle, la cronaca dà contro. A Verona, un ispettore e quattro agenti di polizia sono sotto indagine per atti criminali che senza dubbio rientrano nella definizione di tortura, potenzialmente aggravata dall'odio razziale, perpetrati ai danni di persone, per lo più di origine straniera, sottoposte alla loro custodia. Inoltre, vi sono indagini in corso su un numero maggiore di individui che si sospetta abbiano cercato di coprire tali atti di tortura", ha commentato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, nella sua rubrica sul portale Articolo21."Sembra di essere tornati alla caserma di Bolzaneto, 22 anni fa. Agli indagati si contestano comportamenti ‘gravemente lesivi della dignità delle persone'. Una formula giuridicamente corretta ma che proviamo a tradurre così: uso di persone come strofinacci per asciugare la propria urina, vanterie sui pugni assestati sul volto di persone inermi, competizioni a chi picchiava di più", ha proseguito Noury."Nel 2001, in Italia, c'era chi sosteneva la necessità di una norma sulla tortura: non per vietarla, ma per regolamentarla, in risposta alle sfide senza precedenti del periodo post-11 settembre. Ventidue anni dopo, da Verona arriva la conferma che la tortura serve non a scopo di sicurezza – non è mai servita né servirà mai – ma solo per esibire potere su coloro che ne sono privi. È un'espressione di odio, nascosta dietro una divisa. È un mezzo per annientare e umiliare. Quello che è accaduto a Verona, dunque, ci insegna due lezioni: il reato di tortura deve restare in vigore per punire chi si macchia di uno dei più gravi crimini internazionali, ma anche per tutelare la maggior parte degli operatori delle forze di polizia, compresi coloro che hanno contribuito agli sviluppi dell'indagine in corso. Non ci sono solo “mele marce” ma Verona dimostra che non c'è, almeno ancora, un sistema marcio", ha concluso Noury.
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