TACCUINO # 10

 Parte Prima.

 

Narrare la vita nell'ora più silenziosa.

Il possibile creare artatamente efficace inganno dell'amor universale interpretato da quel di Tarso, sempre sia esistito, e complici, sempre siano esistiti, ha spinto l'essere cosiddetto umano a non essere più, a non esserlo più. Così vien pensato amore quel che non era, non è, e non sarà. Soprattutto, non esiste nel circolar eterno tempo di ritorno. Ma non è ciò che si vive. La sostanza vive quel che il pensato vissuto, fallendo, interpreta. L'exsistĕre lineare non è l'aeternum externus: all'interno del fuori dal ternus, ternum, ternae. Se l'esistere fosse il divenire, e quest'ultimo il divenir sé stessi, l'essere è e non diviene, ma si scopre in ciò che era, è e sarà. Poiché dal nulla era, è e sarà nel nulla, al nulla. Abbordando il vocabolo francese terne, risulta curioso apprendere consegnata traduzione di smorto, spento, opaco. Ritorno così sull'esser morto, morti. Ancor la nebbia non si dirada. Mi incammino tastoni.

Occorre distinguere da due entità ingannevoli per l'essere: la pulsione di piacere e del suo soddisfacimento, e la subdola volontà di occuparsi dell’altro per controllarlo, per utilizzarlo come oggetto (e non cosa), con l’intento di sfogare un malcelato risentimento verso la vita. Questo lo sfogo masochistico dell'ossessivo pulsar di morte. Questo il compulsivo tossicofilico. Questo il volere narcisistico che uccide la volontà di potenza e produce danno, frutto dello psicotico alla deriva, qui foret ignorans quia naufragus. L'esser fiero di quel che si è, di quel che si dice, dell'agire, del pensare, è il momento di inimicizia e guerra. Non esiste contenitore che sia bravo, migliore, il "più". Da questo risulta facile evincere che ciò che conosciamo non è "più" importante, o (anche) semplicemente non è importante. Ha rilievo quel che sappiamo e ciò che per ricordo è saputo. Nessun nulla ha capacità di esser preferibile, poiché è il contenuto del contenitore a dover essere (semmai) apprezzabile. La verità viaggia su locomotive che muovono in cerchio su un solo binario, in equilibrio equidistante da schizofrenie perverse, condizionanti parlanti. Binari e locomotive radicano futilità. Solo il contenuto è prezioso e proficuo. Enigma che potrebbe trovar risoluzione alla guisa del nodo gordiano.

L'inautentica personalità narcisista troverebbe così soluzione, nella completa rottura del legame con il padre, o con la madre, ma dovrebbe ancora lottare con la sua incostituita misura che non può permettere in vita l'esclusione dell'ascoso sentimento di fallimento per tutti quanti (idiosincratici e esaltatori d'orgoglio), tanto celato dalla resistenza dell'indicibile intimo essere, unico a far luce sulla propria formata meschinità. La deiezione di sé è il tratto che non può essere espulso e l'essere viene sempre ingaggiato, rivestito da subdola maschera disintegrata, nel tentativo di portar avanti distruzione di altri mondi (altro da sé), squallidamente tentato per saturare una ferita non rimarginabile. Essere che distrugge storie. Essere che distrugge storia. Non vedendo realtà che appare, genera inganno. Si pensi per contrario al suicida, che per non affrontare l'attesa al nulla desidera la propria scomparsa, anziché vivere pazientemente la frattura nel tempo. Ironico pensare all'esercizio dimostrativo di piena volontà di potenza in contrapposizione al pensier di chi si esprime per certezza nel condannare tutto quello che contrasta la cognitiva marea popolare, che per comune condizionamento reputa per opinione (anche) il non osservato giusto o sbagliato, a motivo di quel che di carattere inesistente vien dogmatizzato; ma poi, indagato il singolo, alla domanda: «Ne ha davvero certezza?», non stupisca l'ottener un flebile certo: «Credo di sì, ... ma con un punto di domanda».

 

Visibili danni.

Sostengo che l'occhio sia importante organo attraverso cui l'uomo, e quindi la scienza, osserva ciò che lo circonda. Ingannati (forse) dalle interpretazioni sensoriali, ma (possibilmente) geneticamente così costituiti in modificazione dei cosiddetti primitivi, o per altra via teorica, collego i danni alla vista ai danni alle pudenda, e viceversa. Gli organi genitali sono prime utili necessità scoperte, oggetto di esposizione alla vista, zone sensibili chiuse recintate e protette, utili all'importanza dell'immagine. Le società, per costume, si sono allontanate da quotidianità e usi antichi, introducendo ruoli che hanno inevitabilmente deviato percezioni attraverso emozioni e sentimenti, quali paura e pudore, costituendo nuove forme adattive. Ciò nonostante, le radicate fragilità umane permangono per ragion di sangue.

Possiamo constatare, nel trauma, il perdurar di avversione nel ricordo di qualcosa di unheimliche, e ben comprendere la netta differenza tra il percepire attraverso la narrazione di qualcosa di angoscioso e la preposizione: «Ho visto qualcosa di angoscioso». Una frase simile avvicina ciascun uditore, anche se inconsapevole, all'orribile, all'orrifico, all'inquietante, al perturbante. Sulla via del distruttore di storie, lo scardinamento delle virtù cancella l'autenticità e carica energeticamente pulsioni di sottomissione e passività ben celate dall'indicibile intimo essere, ma pronte all'innesco al pari di feroci fiere che irrompono dietro le linee per sferrare attacchi (debolmente) arginati dai consci tempi. Nel narcisista, nemmeno l'incontro con l'inteso oggetto colpisce omicidialmente le sanguinarie, promuovendo il superamento per dimenticanza. Loro, vigili, si scatenano libidinosamente in meta, secondo stortura mentale, impossibilitando anche lo studio frankliano (che non tange, ovviamente, lo strutturato non ben formato). Qui, la straordinarietà è fatta dell'ordinario.

Sulla via della (quasi) "naturalezza" incontrollabile, alcuni cenni potranno riportare comprensione che si potrebbe aver taciuto nelle sabbie... Ernst Jentsch pare aver scritto: «Uno degli artifici più sicuri per provocare effetti perturbanti mediante il racconto consiste nel tenere il lettore in uno stato di incertezza sul fatto che una determinata figura sia una persona o un automa». L'osservare il narciso muove a chiedersi in più occasioni se si partecipa della compagnia di una maschera o di un automa. Il racconto è tutti gli istanti che chiamiamo presente, nell'ora più silenziosa che imbriglia il perduto (e nel perduto) restituendo cicatrici.

Questo mi spinge a rievocare Friedrich Schelling: «...tutto ciò che doveva rimanere segreto ma è venuto alla luce». Temo che qui, con segreto e luce, ci volle lasciar intendere: non sarebbe mai dovuto venire al mondo; non tanto un mostrare ciò che l'indicibile intimo essere nasconde inconsciamente e deietta scaricando quando le pulsioni sono troppe da regolare. Ancora, una sovrapposizione mi spinge all'immaginario che disegna per astrazione le fanciulle di Efesto, e l'Olimpia di E.T.A. Hoffmann. Si badi, sulla via di storture mentali identificate per linea di sangue, non adotto scorrettezza e uso improprio di chi argomenta di malattia, giacché di danni a organi non discuto. Questa esclusione mi porta a valutare differenze, si direbbe diversità. Se allora si ha il malato e si ha il diverso, occorre a mio avviso separare il perturbante, poiché è danno al malato e al diverso, ma non è né l'uno né l'altro. L'automa che non partecipa di vitalità, trasferisce il non - adatto. Chi ha lume potrà por riflessione sulla via di krisis, sperimentando così la drammaticità dell'esistenza umana, mai migliorata, e il peso del diritto di esistere per chi sopravvive distruggendo deliberatamente vite, come grezzo náphthas zampillante di tragedia pratica su oro, superando e superandosi, liberi da manipolate etica e morale condizionanti.


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