TACCUINO #11
Parte Seconda.
  
Società. Il sociale. Pensieri. Io. Persona. Indicibile intimo Essere. Un tentativo abbozzato che scala sull'individuo e mi fa intendere i processi del fenomeno uomo, sulla corrispondenza del proprio essere nel mondo agli altri mondi. Se sia la maschera a condur l'io, oppure sia l'io a governar la maschera, dovrò rispondere attraverso ulteriore indagine. Sarà necessaria nuova e più brillante luce in tutto questo buio appositivo determinativo. 

 
Dal sociale non ci si può separare. Ah, se si potesse!

Se la pulsione si forma in masse (e quando), gli apparati che replicano, religano ad illusione. Manipolati da credenza e fede, convincimento e certezza. Apparati che disdicono esistenza umana assumendo nuove vite, spaziando un terribile tempo ove l’uomo non debba mai vivere ciò che accade, ingannato da forme illusorie. Guarda, osserva, esperisce, ma non vede. Eppur ne è subente. A tutta prima l’emozione di sorpresa presto tramuta in delusione, come se per avversione a quel che già perplime, sulla consapevole accoglienza di ciò che di saper si sa che è male, il rigetto di un morto anelito ramificasse tristezza, dolore e pena. E ramifica. Problema, problemi. Argomentiamo discorrendo sulla via risolutiva, ma non si tratta certo della congettura di Poincaré e del suo risolutore, altro fratello di sangue. Se assumiamo corretta, giusta, una possibile via, ove adottando la quale assiomi e postulati ben descrivono ogni tentativo di non contraddizione, dovremo farci strada agguantando il sospetto, quasi fosse mezzo di scavo per raggiungere ulteriori profondità alla ricerca di celati trascorsi, forti che un guizzo controcorrente possa condurci al destino di nuova forma, senza dover sradicare totalmente quel che già riposa. Qui il dilemma ha antica origine, e anche se si trattasse di incarnare hilelismo, homoranismo, raumismo, per lottare imbracciando cuori e speranza, pace e fratellanza, nuove opinioni e mode, movimenti e illusioni, le fantasie non chiuderebbero il cerchio. Tempo fa lessi di nuove proposte che (possibilmente) favorirebbero pensiero critico suggerendo sistemi educativi che imporrebbero a bimbi e bimbette l'ascolto e lo studio delle storie delle molte religioni, in luogo dell'impasto canonico di dottrine cristallizzate. Come se non ne avessimo abbastanza e se non si scorgesse all'orizzonte il pericolo di una nuova corrente che, come l'ultimo fresco, si trascina sempre rischi, inevitabilmente. Sulla via dell'ennesimo revanscismo vi è sempre chi si dimostra pronto a sellare nuovi cavalli di ferro e a lanciarli in battaglia. 
  
L'ipotesi di un'imbiancata conoscenza che da anni si definisce mio amico, sollevò tempo addietro non pochi ragionamenti. A tutt'oggi, premettendo la forza che perdura in tutti, sviluppata dall'impossibilità di cancellar il conosciuto, ovvero la storia, egli si domanda quale possibile risvolto avrebbe per nuova specie il sospendere l'insegnamento. Se, quindi, non trasferissimo ciò che è stato? Esso propone un nuovo mai tentato modello. Il vantaggio pulserebbe con carica achea, argiva, danaita o micenea, al pari di un passato raccontato, ove stermini scelsero per il nuovo futuro, a coprire le tracce teucre. Risulterebbero ascosi: falsi storici, battaglie, conquiste, nomi, polemiche, vittoriosi e vinti, fallaci traduzioni, maldestre interpretazioni, ignobili interpolazioni. L'amico propone il sospendere le verità, le favole, le paradossografie, le conoscenze. Dopotutto il passato non è, eppur si vive. Sulle narrazioni, credulità, granitiche certezze, convincimenti, alla fin fine, oltre l'esperienza propria, sembra si assista solo a opinioni. E non si può escludere che è proprio questo ciò che potrebbe corrispondere al ver vissuto. D'altronde anche le futilità incarnate dall'ignorante corrispondono all'esperito. Si farebbe verità mancando l'incalzar perpetuo di annosi topos, di ennesimi racconti di homini novus, di archetipi, di dover cogenti? È questa la domanda?
  
Propongo a me stesso la strada del dubbio ed esorto me medesimo a seguitare. 

 
Sulla via della specie.

Ogni vita è un nuovo infero. Pensarti morto è l’unica sensazione corporea che dona senso. Si apprezzano istanti. Tutti. Il problema è l’ambiguità tra essere e punto di vista descrittivo. Sulle perpetue storie che muovon ad agiti. E sugli agiti, quanta importanza attribuita a quel che importante non è, all'interno della follia di un respiro che dura il lancio di una moneta. Quale faccia è uscita? Quale lato? Ove si colloca il nostro tempo? A me pare che si esaltino superba malvagità e ipocrisia, sempre più, tutelando il mortale distruttore, il piccolo incarnato che fugge giustizia, sempre sul limite della nascita dell'oltre da sé, ma gordo della spinta pulsiva che di vigliaccheria felicita gherminelle. 
  
Eccoci a gustar la prima fila: «Che si guarda?». «Si guarda il disadattato domesticato che non partecipa di alcuna nicchia ecologica».
  
Qualcuno (forse) disse: grandi scienziati, anche artisti.
  
L'uomo è l'esperimento scientifico che vacilla come barca in acque tempestose. Codesto è l'animato che non può decidere ma scegliere. Se l'uomo decide, Dio se la ride, recita un popolare adagio. Ecco la sua libertà nel fallire ribaltando o nell'andar oltre dentro l'indicibile intimo essere, per costituirsi Superos comprendendo infinita fine. 

  
Finalmente formato, ecco a voi l'uomo liquido.

Il nuovo uomo liquido è regredito, infantilizzato, privato dell'essere psichico naturale, ridotto a oggetto tra oggetti, e non cosa tra cose. Ha sovrapposto materia organica e inorganica percependo disgusto e disapprovazione quando crede di vivere disappagamento, proiettando ogni disturbo dell'essere in presenze esterne e estranee. La rimozione di quel che è altro da sé è la buona strategia che pensa sia vincente. «Se non posso rimuovere, attacco e distruggo», si dice. Ecco aperta la porta sul baratro. Ma dove è il liquido? Se osservasse, si vedrebbe sul fondo, e alzando il capo, eccola, la porta che riconduce alla vita. «Ma sono l'incarnato di una vita inautentica, impersonale ed anonima! Più ho e meno sono. Giacché è il posseduto a possedermi».
  
Il fallimento tragico che partecipa di assenza di forza, coraggio, vitalità, respiro. Un corpo che usa corpi, si nutre di tempo, muore ogni istante guardando tutto ciò che scorre lentamente nel morire tutto attorno e non vede; corazzato si riveste di nulla di nuovo sotto il sole, promuovendo quel che reclamizza futilità.
  
Benvenuto.



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