La sfiducia è il fil rouge del rapporto tra società italiana e politica. Alle elezioni politiche del 2018 i non votanti – intesi come la somma di astensioni, schede bianche e nulle – erano il 29,4% degli aventi diritto: il 26,5% nel Nord-Ovest, il 24,5% nel Nord-Est, il 27,1% nel Centro, il 35,5% nel Sud e nelle isole. Tra il 2001 e il 2018 il dato nazionale è aumentato di 5 punti percentuali, con incrementi maggiori in Emilia Romagna (+9%), Trentino Alto Adige e Liguria (+8%), Sardegna (+7,8%) e Lombardia (+7,3%). Si tratta di un processo di estraneazione di lungo periodo che ha contagiato ormai largamente anche i territori tradizionalmente a più alta partecipazione elettorale.Solo il 19% degli italiani parla frequentemente di politica quando si incontra: il 17% degli operai, il 23% di chi svolge mansioni impiegatizie, fino al 38% e al 35% rispettivamente di manager e direttivi, imprenditori e lavoratori autonomi.L’estraneità politica dei soggetti meno abbienti è un fattore determinato e determinante di macchine politico-partitiche autoreferenziali e al contempo fragili. Così, se il 76% degli italiani dichiara di non nutrire fiducia nei partiti politici, la quota sale all’89% tra i disoccupati e all’81% tra gli operai. Sono proprio questi ultimi gruppi sociali a essere anche più scontenti di come funziona la democrazia in Italia: lo sono il 58% degli operai, il 55% dei disoccupati, mentre i valori scendono al 34% tra manager e quadri, e al 42% tra imprenditori e lavoratori autonomi.Sono i segnali evidenti dello smottamento del consenso, che coinvolge in particolare la parte bassa della scala sociale: così, inefficacia della politica ed estraneità da essa aprono la strada a disponibilità che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l’attesa messianica dell’uomo forte che tutto risolve. Infatti, il 48,2% degli italiani (il 67% degli operai, il 62% dei soggetti meno istruiti e il 56,4% delle persone con redditi bassi) dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni.
Il passaggio sopra riportato è titolato "il suicidio in diretta della politica italiana" e fa parte del 53.esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, pubblicato questo venerdì.
Il rapporto, consultabile on-line, introduce nelle considerazioni generali "le piastre di sostegno, i soggetti e i processi per arginare la deriva verso il basso" in cui l'Italia si sta avvitando, mentre nella seconda parte, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso del 2019 in una società che viene descritta come "ansiosa, macerata dalla sfiducia":
la solitaria difesa di se stessi da parte degli italiani provocata dal furore di vivere e da stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro, le responsabilità collettive eluse, i grumi di nuovo sviluppo.
Nella terza e quarta parte, il Censis dimostra le anticipazioni con i dati risultato delle analisi per settori: formazione, lavoro e rappresentanza, welfare e sanità, territorio e reti, soggetti e processi economici, media e comunicazione, sicurezza e cittadinanza.
Consultabile on-line, e ben strutturato, è inutile riportare i contenuti di ciò che il Censis ha rilevato... è possibile leggerseli da soli, senza alcun problema. Più utile, invece, fare una breve riflessione sulla considerazione riportata ad inizio articolo che spiega benissimo il perché del sempre maggior successo che negli ultimi anni hanno acquistato i populisti nel nostro Paese... che come tradizione vuole sono fanfaroni senz'arte né parte, venditori di consenso, incapaci di idee, privi di cultura e di qualsiasi esperienza che vada al di là dell'arte della sopravvivenza in politica.
Sono dei "Dulcamara" che si vendono come persone mandate dalla provvidenza - per questo è forte il loro richiamo alla più becera tradizione cattolica pre-conciliare - che dicono di avere il "magico elisir" per guarire tutti i mali. Gli sprovveduti e i disperati che gli prestano ascolto, cornuti e mazziati oltre che abbandonati da tutti, fanno ricorso alla elementare logica popolare - assolutamente comprensibile e oltretutto giustificabile - dicendo "abbiamo provato gli altri e siamo stati fregati, adesso proviamo questi... di peggio non possiamo attenderci".
Come dar loro torto?
Il guaio è che la loro rassegnazione, in questo periodo, viene raccolta da persone (come Salvini e Meloni) che, rispetto al passato, riescono pure ad essere peggiori del peggio che pensavamo di aver già raggiunto.
L'attuale situazione politica è figlia degli errori della classe politica che ancora una volta si proclama responsabile e avveduta, ma che pervicacemente continua con tenacia a perseguire il proprio personale interesse di bottega per preservare quello che ha, senza minimamente guardare agli interessi del Paese e a ciò che effettivamente dovrebbe esser fatto per riformarlo.
In che modo?
È molto semplice, partendo dalle basi. In Italia i principali problemi, i più importanti da cui a cascata si generano tutti gli altri. sono sostanzialmente due: responsabilità e rappresentatività.
La responsabilità è chiesta alle istituzioni e a chi le rappresenta. La riflessione è di una banalità sconcertante: come può lo Stato chiedere agli italiani di essere cittadini responsabili, ligi ai propri doveri e ai propri impegni, quando chi governa lo Stato - a vari livelli - dimostra giorno dopo giorno di essere un irresponsabile e di gestire la cosa pubblica senza neppure immaginarsi che le sue scelte avranno delle conseguenze sugli amministrati? Quando si gestisce male la cosa pubblica, in maniera irresponsabile, è diretta conseguenza che gli amministrati, anche solo per pura questione di sopravvivenza, non possano far altro che "arrangiarsi". Senza dimenticare che, da tutto questo, sono sempre i furbi e gli spregiudicati a trarne profitto... oltre ai veri e propri delinquenti.
Esiste uno strumento per cambiare questa situazione in modo strutturale? Sì e si chiama rappresentatività. Come si mette in pratica? In maniera molto semplice: con un sistema elettorale basato su collegi uninominali e ballottaggio al secondo turno dei due candidati che abbiano raccolto più voti, nel caso al primo turno non ci sia nessuno che abbia ottenuto il 50% più una delle preferenze di coloro che si sono presentati alle urne.
Che cosa accadrebbe se un parlamentare venisse eletto in questo modo? Una cosa molto semplice. Che, magicamente, fin da subito diverrebbe un vero dipendente degli elettori ed un vero rappresentante dei loro interessi, mentre adesso è solo un galoppino del segretario o presidente di partito che cerca di compiacere in tutti i modi, per ottenere un seggio sicuro nella prossima legislatura.
Se un eletto con l'uninominale vuole ricandidarsi anche nella legislatura successiva deve coltivare il rapporto con gli elettori e tutelare i loro interessi e sarà suo personale interesse verificare che lo Stato svolga responsabilmente il proprio ruolo.
Se la gente capisse l'importanza di questi due semplici concetti, pretendendone l'applicazione fin da subito, allora potremmo sperare di avere se non un Paese migliore, almeno un Paese normale con una classe politica in grado di essere finalmente degna delle istituzioni che pretende di rappresentare.
Oggi non è così.