In un articolo apparso sull'Espresso di questa settimana viene riportata la notizia che il Papa è dovuto intervenire per mettere ordine nella gestione degli ospedali, cliniche e case di cura gestite da ordini religiosi, la cui conduzione da tempo viene portata avanti con criteri, diciamo allegri (meglio non specificare oltre).
Dall'articolo si rileva che l'8,5 % dell' assistenza sanitaria nel nostro paese è fornita da strutture direttamente o indirettamente collegate al Vaticano.
E qui si impone una riflessione. Il sottoscritto negli anni si è avvalso spesso di servizi offerti da ospedali gestiti dall'Ordine Ospedaliero di S. Giovanni di Dio - Fatebenefratelli e anche dall'Istituto Dermatologico dell'Immacolata (padre Decaminada per intendersi).
Ogni volta che si è presentata la necessità, prima di salire in corsia o allo studio o all'ambulatorio che fosse, sono dovuto passare alla cassa dove per prima cosa mi è stato chiesto il tesserino sanitario, e poi mi è sempre stato chiesto il pagamento di una somma variabile a seconda del tipo di prestazione richiesta, senza il suddetto tesserino non ti avrebbero passato nemmeno un'aspirina.
Ne più ne meno pertanto, di quello che avviene in tutte le strutture sanitarie del paese ove la prestazione è a carico del Servizio Sanitario Nazionale oppure parzialmente (ticket) o totalmente a carico dell'interessato.
La regola quindi vale per tutti, solo che - sorpresa! - si viene a scoprire che mentre nel caso delle struttura pubbliche o private "laiche" si parla di servizio, nel caso invece delle strutture religiose si parla di opera di carità.
Terminologia che ha tanto il sapore dello specchietto per le allodole e che fa il paio con i famosi 35 euro pagati dallo stato per ogni migrante-profugo ospitato-assistito, solo che se a percepirli era la pensioncina di Riccione "ci mangiava", se invece percepiti da una struttura religiosa la stessa forniva assistenza caritatevole... dalla quale magari trarre spunto per gli ipocriti spot televisivi pro 8 per mille.