Proviamo a diradare le nubi ideologiche concentrandoci sulle necessità pratiche che persegue l’umanità intera. Entriamo nei panni di una giustizia equanime che arditamente e con convinzione le spazza via fondando la sua azione sul più semplice dei principi: l’etica.

Vi siete mai chiesti se l’etica è di destra o di sinistra? Fate però attenzione a non rispondere che ognuno ha la sua etica. Sarebbe un errore. Quella più plastica e malleabile non è l’etica, ma la morale. Possono essere sinonimi solo quando i loro principi coincidono e concordano; un “dovere morale” può essere tanto di origine etica quanto di un ristretto gruppo, e quello che qui interessa è solo l’origine etica: la morale universale.

L’etica indaga sulle morali e ne determina l’eventuale solidità dei principi. E’ da essa che pare sia stato tratto lo stesso termine “morale”, di cui ha parlato per la prima volta Cicerone nella sua opera “De fato”. E ne parlò proprio come studio di “filosofia morale”, solo per trovare un sinonimo latino all’etica che invece proviene dal greco antico etikòs, di cui si occupò già Aristotele circa tre secoli prima.

Chissà perché a scuola non si parla dell’etica. E’ una grave lacuna. Spesso mi affliggo invocando con forza la necessità di ampliare il monte ore dedicato all’educazione civica, sparita da decenni e reintrodotta in maniera molto blanda e del tutto insufficiente qualche anno fa. L’educazione civica, il diritto, si avvicinano molto all’etica; in realtà dipendono da essa, ecco perché la disciplina andrebbe potenziata al massimo acquisendo il rango di insegnamento primario e più importante di qualunque altro.

Passare, invece, dall’educazione civica all’insegnamento diretto dell’etica sarebbe il trionfo assoluto e glorioso della cultura. Significa, ad esempio, capire nel profondo delle cose il perché una determinata norma morale o di diritto sia giusta o sbagliata, arrivando a realizzare che non serve nemmeno una norma giusta per aderire ad essa e rispettarla, in quanto tale norma è già codificata nel DNA umano.

Si potrebbe pensare che sia qualcosa di complesso, difficile. Ma se chiedessi quanto fosse giusto uccidere per acquisire un vantaggio, mi rispondereste istintivamente che non lo è affatto. Quindi non è necessario impegnarsi in nessun ragionamento complesso o difficile, per la quasi totalità delle norme etiche. Se lo volessimo fare, per amor di discussione, potremmo esplorare questa nostra innata codifica di bene e male attraverso lo studio della filosofia morale.

Paradossalmente, insegnare l’etica abbrevierebbe la comprensione e la critica delle regole di diritto, liberandole dalla complessità di quel linguaggio giuridico rigido e talvolta contorto che tenta invano di sopperire proprio alla mancanza di comprensione delle regole innate. L’etica fa comprendere quelle giuste e individuare altrettanto facilmente quelle sbagliate, ossia sbilanciate verso un bene circoscritto (quindi un bene morale) che si allontana da quello universale (quindi il bene etico).

Perché, intendiamoci, non esistono regole di diritto che tendono al male in senso assoluto, ma esse possono essere semplicemente concepite per favorire determinati gruppi che le sollecitano e promuovono, così da forzare tramite esse una morale propria. Prendiamo la pena di morte che resiste ancora in diversi paesi democratici: essa persegue la morale del “dente per dente”, ed è contraria all’etica che non giustifica mai la morte di un uomo per mano di un altro uomo (salvo l’accidentalità e le cause di difesa). Infatti tutti si trovano dubbiosi, sconcertati, a disagio, quando avviene l’esecuzione di una pena del genere, anche per chi è direttamente coinvolto.

Pertanto, tra le norme di diritto troviamo quelle di bene assoluto (pienamente etiche) come quelle di bene e male relativo (di altra natura morale incompatibile con l’etica). Qualunque norma che non sia pienamente compatibile con l’etica andrebbe rimossa dal sistema che la promuove. Ecco perché nei paesi totalitari e di regime si assiste spesso a disordini e guerre civili.

Non l’abbiamo ancora detto esplicitamente, ma ovviamente è intuitivo che l’etica sia quella forma di pensiero che può unicamente tendere al bene assoluto e universale. Fu Aristotele il primo a darne la giusta lettura: «Ogni tecnica e ogni ricerca, come pure ogni azione e ogni scelta, tendono a un qualche bene, come sembra; perciò il bene è stato giustamente definito come ciò a cui tutto tende» (in “Etica Nicomachea”, IV sec. a.C.).

Anche in un paese come il nostro abbiamo norme morali (di diritto) che risultano eticamente inaccettabili; per contro abbiamo necessità di norme etiche urgenti su cui la politica fa panegirico con poco arrosto. Ma se il meccanismo per scoprirle è chiaro, allora tutto risulterebbe semplicissimo per i cittadini. E a questo punto domandiamoci se questo meccanismo, di cui abbiamo fin qui parlato, è di destra o di sinistra.

E’ una domanda fondamentale come quella sul senso della vita. Non credete?

Se una parte politica non agisce in maniera etica voi perché la seguireste? Dovrebbe esservi evidente che quella politica sarebbe eticamente immorale, e lo sareste anche voi che la seguite.

Nella seconda parte dell’articolo proveremo a scoprire dove punta la bussola dell’etica (e non credete che le conclusioni siano così scontate…).

continua...