I monopattini
Veniamo ai monopattini elettrici, nuova tendenza di massa della mobilità urbana e paradigma moderno di come l'italico malcostume possa prosperare nell'assenza di regole.
La prima cosa che incuriosisce, è che anatomicamente parlando sembra sfidare tutte le leggi della gravità e della cinetica (ruote proporzionalmente piccole, carlinga stretta, passo lungo, baricentro alto e mal distribuito e stazione eretta del pilota, sono tutti gli ingredienti perfetti per far perdere il controllo di un mezzo di locomozione. Certo nel migliore dei mondi possibili questo piccolo bolide avrebbe potuto essere persino benefico per lo snellimento del traffico e l’azzeramento delle emissioni dirette. E’ divenuto, invece, il no man’s land dell’educazione stradale e un vero pericolo per i pedoni che non lo sentono nemmeno procedere – per via del sibilo elettrico che si fonde con 1000 altri rumori urbani – alla velocità di crociera di 30 chilometri orari (tipo Jacobs alle olimpiadi, avete presente). Non richiede alcun patentino e il nuovo Codice della Strada, contenente la regolamentazione dei monopattini elettrici, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, pensate, solo il 27 giugno 2023. Prima che venga poi applicato ci vorrà del tempo. In questa zone franca estesa tra l’emanazione delle leggi e la loro applicazione, abbondano i furbi e i fuorilegge.
Non tutti? Ovvio, come per i SUV: tutti i mezzi, al netto di quelli dotati di mitragliatrice e testate nucleari, nascono inerti e senza volontà, siamo noi che decidiamo cosa farne. Molti, bisogna costatarlo, hanno fatto la scelta di stare fuori dalle regole. Il monopattino è’ l’unico mezzo attualmente in circolazione a cui è stato, di fatto, attribuito l’imperio di circolare contemporaneamente su strada, sulle piste ciclabili (notate, qui siamo ancora fermi ai cartelli che indicano il simbolo di una bicicletta e di un pedone) e sui marciapiedi, nell’indifferenza generale, dei cittadini e delle istituzioni, finché non capita l’incidente. Ma Nullum crimen, nulla poena sine lege.
Un monopattino, con ruote maggiorate e assetto rialzato
E allora eccoli sfiorare la velocità di un motorino sui marciapiedi, serpeggiando tra i pedoni che si tuffano ai lati come inseguiti dagli zombie o impegnare una curva di una pista ciclabile per trovarsi di fronte un malcapitato ciclista sfiorato fina alla rasatura della giacca. E se poi gli va, possono sempre balzare d’improvviso su un marciapiede mettendo a repentaglio la sicurezza dei pedoni lenti o quelli con lo sguardo fisso sullo smartphone.
La cosa incredibile, è che anche il mercato dei monopattini sembra far parte di una specie di propensione innata al gigantismo, poiché non si può farlo accadere biologicamente ci si affida ai mezzi tecnici per realizzarlo. Anche i dinosauri erano nati piccoli e sono poi cresciuti, cresciuti, e alla fine si sono ritrovati le savane del tempo intasate di diplodochi e tirannosauri. I monopattini sono partiti dai trabiccoli spinti da una mono gamba con ruote rubate agli skate board, per arrivare ai colossi nerboruti di oggi. Proprio le caratteristiche fisiche dinamiche del mezzo (che sono attualmente comunque un ostacolo al pieno utilizzo del mezzo su strade cittadine con pavé e binari dei tram), spingeranno, c’è da scommettere, verso mezzi sempre più possenti, magari con ruote da 15″, larghe come quelle di uno scooter e con peso complessivo che sfiorerà i 30 kg.
Per i monopattini, temo ci sia stata anche una congiuntura quasi diabolica tra la loro ascesa e l’era del sincretismo tecnologico (Monopattino + Smartphone), e la fine dell’epoca Covid19, che ha trasformato molti individui in fenomeni sociopatici, pieni di aggressività inespressa tenuta nella cattività di 4 mura, abituati ad una solitudine trasformatasi più in una perversione dell’individualismo che nell’opportunità sociale di ripartire da zero.
E allora ecco il supereroe pilota di monopattino, che schizza mentre digita contemporaneamente su uno smartphone. L’interazione con l’altrui esistenza, salvo quella virtuale naturalmente, non è nemmeno più contemplata. Per lui, non c’è nemmeno più bisogno di dire buongiorno o permesso scusi, perché è saltato il paradigma dell’incontro e dialogo con l’altro per lasciare il posto al semplice sfioramento accelerato di due ostacoli che viaggiano in senso opposto. I progettisti dei monopattini ne hanno persino studiato la postura ad hoc, retta, sopraelevata, intimidatoria.
SMARTPHONE
Chiudiamo con i famigerati Smartphone. Non sono i, principio, fenomeni della mobilità, ma si integrano (come già accennato sopra) perfettamente con i primi due in nuove forme di alienazione sociale. Non dirò molto degli smartphone, perché essendo ormai sul commercio da anni è già stata pubblicata la più imponente bibliografia che abbia riguardato una moderna tecnologia. Mi limiterò ad alcune considerazioni, alcune un po’ umoristiche, altre meno.
C’è da dire che la tendenza al gigantismo inarrestabile che coinvolge i mezzi di locomozione privata (Ho dimenticato di ricordare che coinvolge anche il mercato delle biciclette), non ha funzionato per gli smartphone. Alcune delle sue evoluzioni non hanno conosciuto la sorte commerciale che si sperava con il loro lancio. Parliamo di tablet e iPad che sono in qualche modo finiti nel repertorio delle tecnologie dell’improbabile: troppo piccoli per sostituire PC portatili e televisori (anche loro ormai Smart), e troppo grandi per sostituire gli smartphone. Quando un ingombro non serve più al prolungamento della propria personalità, deve almeno asservire al suo compito utilitaristico, quello di stare in tasca.
Gli Smartphone sono gli unici, rispetto ai precedenti, ad aver attraversato le due ere geologiche ante e post Covid, dalle quali sembrano aver incamerato in peggio alcuni comportamenti preesistenti l'antico malcostume. E qui entriamo nella sociologia.
Anche prima del Covid era in atto l’isolazionismo sociale intrinseco all’utilizzo smodato delle tecnologie digitali, con fenomeni estremi come i NERD e gli Hikikomori, ma Covid-19 ha fatto compiere il salto epico verso la psicopatologia generalizzata. Ricordiamo tutti i ripetuti lock-down urbani, con strade deserte e semafori senza traffico, alternati a timide e temporanee riaperture. Questo meccanismo di rarefazione umana e relegazione domiciliare protratti per due anni, ha portato ad una modificazione cerebrale, dove il cervello istintivo deputato all’autoconservazione (ad esempio mediante l’elusione dei pericoli) e il cervello emotivo deputato alla paura sembrano essere stati sovrascritti da un nuovo tipo di cervello razionale, ma intriso di comportamenti irrazionali. Sono diminuite, come mai nella storia dell’uomo, la soglia di attenzione, la prontezza, la vigilanza e l’interazione sociale, soprattutto nella fascia di popolazione che era già incline all’abuso del digitale e alle sue derive isolazioniste. Se già negli scorsi decenni eravamo abituati a veder schiere di viaggiatori della metro, assorti sugli schermi dei loro telefonini, tuttavia, a quel tempo, le ridotte dimensioni del mezzo, le tastiere alfanumeriche di tipo analogico, la scarsa luminosità dei display, la lentezza e la scarsa appetibilità di sms, costituivano un deterrente al fenomeno dell’assuefazione. Ci si alzava dal posto e si metteva via il telefonino per fare altro o lo si continuava ad utilizzare al massimo per le telefonate.
Oggi, invece, assistiamo ad una pletora di semi alienati che, corroborati dalla tecnologia multimediale e multifunzionale dei social e da processori potentissimi, camminano digitando freneticamente con i due pollici speculari senza accorgersi di tutti i fenomeni spazio temporali che incrociano nel frattempo. Come ha detto un personaggio nella serie Black Mirror su Netflix, “Se il cielo diventasse viola, nemmeno se ne accorgerebbero!”. Mentre camminano, con lo sguardo fisso sullo schermo e le dita che sembrano raschiare il nulla, sembra appalesarsi la legge della relatività generale di Einstein. E’ come se l’intensa gravità del loro essere il centro del loro universo, deformasse sotto i loro piedi marciapiedi, etere e persone. E che dire degli irriducibili dello smartphone al volante, che si osservano procedere con moto ondivago e rallentato, imperterriti fino al prossimo disastro stradale?
Questi sono aspetti che troviamo inquietanti perché non riusciamo a comprenderli fino in fondo. Ma dobbiamo sapere che questi fenomeni tecnologici hanno un inizio, uno sviluppo, ma mai una una fine, perché la corsa inarrestabile verso il loro compimento ulteriore ne costituisce il fondamento ontologico e il processo dinamico al tempo stesso. Chi fatica a comprenderli, può solo arrendersi nel definirsi una specie antropologicamente distinta (certamente in via di estinzione), incompatibile, incomunicabile, più distante di quanto potessero esserlo nel modo di pensare l’uomo di Neanderthal e quello di Cro-Magnon.
Le mille declinazioni che Matrix sembra avere nel frattempo prodotto, creano altrettanti fenomeni di massa, mescolati a mutazioni individuali omicide. Come quel giovane, che con perfetto sincretismo di mezzi, riprendeva in streaming con il suo smartphone, la sua folle corsa con un mega Suv terminando la rocambolesca prodezza su un’altra vettura e provocando la morte di un bambino di 5 anni a bordo di quest’ultima.
Un’eccezione? Per fortuna, ma rappresenta lo spartiacque, più volte esorcizzato, tra il videogioco compulsivo e la realtà umana. Quante volta capita, più banalmente, di incontrare un tale folgorato al centro di una pista ciclabile o di un marciapiede, immune a suoni e movimenti, al punto da reagire in maniera differita di diversi secondi al suono di un campanello, di un clacson o ad un’ interlocuzione umana, per poi sollevare lo sguardo e guardare inebetito e sorpreso nella migliore delle ipotesi, indispettito nella peggiore. Poi, capitano persone che chattano ermeticamente con qualcuno che si trova a solo 50 metri da loro in un bar o per ore su una panchina cittadina fino a perdere la cognizione del tempo, ma che senso ha?
Se le fasce più giovani sono potenzialmente più alienate, perché nate per la maggior parte nell’era degli smartphone, sbagliamo se pensiamo che le altre generazioni, anche più anziane, ne siano immuni.
Vi racconto un episodio che non sono più riuscito a dimenticare. Poco tempo dopo l’ennesima riapertura da Covid (e qui anche il virus ha giocato la sua parte, per i motivi spiegati sopra) mi capitò di svoltare a destra ad una rotonda. Nel bel mezzo del passaggio pedonale, mi ritrovo davanti una donna sulla settantina, ferma e intenta a digitare qualcosa sullo smartphone. Rimasi di stucco, quella scena aveva appena infranto il paradigma dell’intangibilità tecnologica da parte della terza età. Dovetti suonare per svegliarla dal suo torpore mediatico e si avviò verso la sponda opposta come un’antilope accortasi della presenza di un leone.
Forse anche loro, costretti ad un lungo esilio da Covid e all’astinenza affettiva dei loro figli e nipoti, hanno iniziato ad utilizzare lo strumento smartphone per sopperire alla mancanza di contatto fisico, per poi cadere, senza accorgersene, nella dipendenza? Forse era solo un caso, ma è per dire che non dobbiamo ripulirci la coscienza scaricando sui giovani la responsabilità di ciò che sta accadendo, siamo tutti coinvolti e responsabili, avremmo dovuto vigilare di più sull’impatto di queste tecnologie sulla società e sui più piccoli in particolare. E non avremmo dovuto giustificare la loro drammatica immaturità emotiva di adolescenti che non diventano mai adulti, con le difficoltà oggettive del mondo in cui viviamo. Ancora più grave, aver affidato ingenuamente (e qui c’entrano i cittadini e il legislatore in solido) ai detentori degli algoritmi dell’intelligenza artificiale le chiavi del nostro futuro. I cani sono già scappati di casa. La tecnologia si evolve sempre e plasma le leggi sonnolente a sua immagine e somiglianza.
E’ dunque questo che volevamo? Certamente no. Tutti possediamo uno smartphone, e come già premesso all’inizio, qualsiasi mezzo tecnologico nasce come potenzialmente inerte, dipende da noi la sua destinazione reale di utilizzo.
Lo smartphone, non c’è dubbio, è stata un’invenzione rivoluzionaria, e detiene in sé aspetti davvero incredibilmente utili, come, ad esempio, le mappe satellitari per raggiungere posti complicati ed eludere gli imbottigliamenti; le chat rapide per avvertire qualcuno di un imprevisto o di un ritardo se non raggiungibile al telefono; i dizionari universali, incredibilmente efficaci per chi come noi scrive o per gli studenti che effettuano ricerche; i podcast che consentono di ascoltare libri e documentari. Purtroppo, le sue potenzialità vengono oltremodo sprecate, assieme alla maggior parte del nostro coefficiente cerebrale.
Forse è troppo tardi per tutto, la generazione dei sonnamboli tecnologici è appena iniziata. Ma non bisogna disperare. Ci sarà sempre posto per chi ama ancora il saluto, l’aria aperta e una chiacchierata ridanciana dal vivo con gli amici, e tra una risata e l’altra, usa lo smartphone per dire ti voglio bene, usa la macchina per arrivare sul posto e il monopattino…No, scusate, questo non lo calcola proprio.