L’Europa e la questione Russa guardare se stessi per comprendere 

La percezione, persino la comprensione da parte della opinione pubblica europea e italiana dello scontro militare che si sta’ consumando in Ucraina è a tratti confusa, contraddistinta da posizioni isteriche, avverse. Si scandiscono i giorni di guerra, le ore, la cronaca addirittura minuto per minuto di orrori, atroci avanzate, ripiegamenti. Dopo i primi giorni di attonito stupore, si è fatto largo, timido dapprima, sbandierato poi, un senso critico mondano, una necessità, a tratti morbosa di vedere il diavolo nel santo e il santo nel diavolo. Ci possiamo chiedere se ha ragione la Russia? Ci possiamo chiedere se è giusto armare la resistenza ucraina? Queste domande non dovrebbero avere risposte scontate? La guerra, questa guerra è l’ultimo vero baluardo della democrazia occidentale? Stanca erede del modello greco, incapace di reinventarsi e di non auto fagocitarsi. Dobbiamo sperare che l’Ucraina non possa e non debba perdere mai? 

A queste domande ognuno può rispondere ma prima ciascuno deve capire con la propria testa i reali motivi, distinguerli da quelli apparenti e dalla propaganda. 

Questo articolo cerca di chiarire alcuni punti della questione al fine di non cadere nella più triste delle posizioni di arrocco … La percezione di quanto sta avvenendo in questi giorni in Ucraina è strettamente legata a cosa è avvenuto in questi anni in Russia sotto il governo di Putin. Analisi sconosciuta e confusa per lo spettatore italiano ed europeo medio. Non è facile infatti interpretare i dati della politica russa, sia per la mancanza di trasparenza nei meccanismi di formazione delle decisioni politiche e nei rapporti di potere, sia per la difficoltà di interpretare la natura del potere dell’attuale Presidente quando lo si valuta in base ai parametri della liberal-democrazia europea. L’atteggiamento più comune rimaneva quello di una forte diffidenza verso questo paese e il suo leader politico cui si rimprovera continuamente il mancato rispetto per i diritti umani e la scarsa propensione alla democrazia. Il tutto unito dal prurito di una unione divisa (Europa) di lasciarsi ammagliare dalla concezione del leader potente tutto di un pezzo.

In realtà da anni l’Europa è pervasa da una morbosa voglia di autocritica che si estende e rimane insita in una sorta di autolesionismo senza patria. A ben guardare si tratta di un atteggiamento che rispecchia una mentalità che si sta diffondendo sempre più nel nostro continente. Come scriveva Kissinger in un articolo pubblicato anche sulla Stampa il 4 luglio 2004, in Europa, «in assenza di un interesse nazionale europeo ancora da definire, gli atteggiamenti da non-Stato nei confronti delle relazioni internazionali stanno diventando molto radicati nell’opinione pubblica». Nelle altre aree del mondo succede l’opposto: «per gli Stati Uniti… e per paesi come Russia, Cina, Giappone e India…la geopolitica non è qualcosa di detestabile, ma la base delle loro analisi e delle loro azioni esterne. L’interesse nazionale è ancora un’idea unificante. L’equilibrio dei poteri influenza ancora i loro calcoli, soprattutto nei rapporti reciproci». L’atteggiamento da non-Stato, invece, impedisce all’Europa di cogliere i processi in atto nella politica internazionale e di partecipare al formarsi di un multipolarismo da cui per il momento è emarginata. Incapace di superare la propria divisione e quindi di costituirsi come Stato in mezzo agli altri Stati, l’Europa è costretta a cullarsi nell’illusione che i cardini della politica ricordati da Kissinger — quelli cui fa riferimento il resto del mondo — non siano ormai più validi e si ritrova a coltivare una percezione falsamente moralista e distorta sia dei rapporti internazionali che delle trasformazioni in atto nelle altre aree del mondo. Mentre gli altri paesi procedono per la propria strada, cambiando ed evolvendo, l’Europa è invischiata nel tentativo di esautorare gli Stati sovrani, svuotati di ogni prerogativa essenziale, studia forme di cooperazione sempre più complesse, attraverso, per citare ancora una volta Kissinger, «arrangiamenti costituzionali… assolutamente esoterici». Prima di fare l’Europa bisogna fare gli europei. 

 
La Russia e i fantasmi del passato 

 D’altro canto, La Russia, rispetto al resto d’Europa, ha sempre seguito una propria via specifica nella costruzione dello Stato e nel perseguimento della modernità. Indipendentemente dalla percezione che il paese ha avuto di sé negli ultimi secoli, percezione in cui convivevano in modo più o meno conflittuale la corrente «occidentalista» e quella «slavofila», è un fatto che la Russia si è sviluppata nei secoli isolata rispetto al continente europeo, senza partecipare al suo processo di civilizzazione.  Quello che interessa ricordare qui è la particolare arretratezza della sua società che non ha mai potuto svilupparsi e dar vita, contrariamente a quanto succedeva in Europa, ad una società civile variegata che fungesse da volano per la modernizzazione del paese e da contrappeso politico al potere centrale, in modo da promuoverne la trasformazione. La Russia non ha mai conosciuto né la rivoluzione liberale né quella democratica, né tanto meno la graduale affermazione dello Stato di diritto che ha caratterizzato l’Europa. Date le sue peculiarità territoriali e sociali — un grande spazio isolato e scarsamente popolato, con un clima difficile che permetteva solo un’agricoltura povera, e quindi una popolazione composta solo dalla massa dei contadini e dall’aristocrazia, senza che riuscissero a svilupparsi i ceti medi — ha potuto sopravvivere e compiere i suoi passi verso la modernità solo grazie ad un sistema di governo autocratico, fondato sul potere incondizionato del monarca prima, e del capo dello Stato poi. Il sistema autocratico in Russia ha permesso di massimizzare le possibilità di difesa del paese e ha fornito l’unico impulso alla modernità che era compatibile con una società così arretrata e priva di spinte endogene: tutte le riforme intraprese in Russia sono state rese possibili proprio dalla natura del suo sistema politico, cui era estranea ogni possibilità di conflitto organizzato, riforme che, date le caratteristiche del paese, non avrebbero potuto aver successo con un sistema più complesso e quindi fragile. E il grande sforzo di trasformazione in uno Stato moderno non è avvenuto come in Europa grazie all’evoluzione della società, che forniva allo stesso potere politico la spinta, gli strumenti e i modelli per creare il quadro giuridico e di potere in grado di sostenere tale evoluzione, ma si è basato esclusivamente sull’iniziativa dello Stato stesso.


Il Conflitto e la causa della Nato come elemento scatenante: una retorica povera e semplicistica

In questo contesto e valutando una chiave di volta fondamentale del modello evolutivo russo pensato a tavolino, risiede la possibilità di comprendere il confitto in Ucraina e le reali caratteristiche della cosiddetta “operazione speciale”. 

La Russia, a causa di rapporti di forza e l’esito degli scontri relativi a tali rapporti di forza tra il 2010 e il 2012 ha variato completamente il proprio modello evolutivo. Sino al 2010-11 Putin e la Russia parevano essere diventati il luogo dove realizzare il sogno di progresso per decine di anni personificato dall’approccio americano ma rimanendo nel continente euroasiatico. I russi dal 2000 al 2010 avevano saputo fondere le caratteristiche del forte supporto sociale, ereditate dal modello sovietico, piegandole fino a renderle tanto presenti ed efficaci nella corsa alla supremazia di sviluppo ed economica. La Russia sembrava il nuovo eden del business, del progresso e delle opportunità di crescita. Fino ad arrivare a pensare plausibile inserire la Federazione Russa all’interno dello scacchiere europeo, di cui avrebbe verosimilmente preso le redini, in un neonato, sorprendente nuovo equilibrio, con la celebrazione di uno scontro tutto economico tra l’Europa e l’Usa. 

Poi di colpo tutto è cambiato, venuto meno stravolto. Il gigante buono che si è ri-accartocciato sui fantasmi dell’epoca post sovietica in salsa comunista. Il gigante si è ricordato di venerare il cadavere di Lenin nel cortile di casa e ha ridato vigore alle celebrazioni del compleanno di Stalin. Come uno fantasma che si rialza dal sepolcro di una storia tanto lontana da essere inverosimile, il modello sovietico come uno zombie si è ripreso con recrudescenza la retorica becero-comunista secondo una logica ferrea, schietta terribile a tratti comica e penosa. Se si comprende bene questo passaggio si comprende a pieno il modello della propaganda, e la necessità dell’antico nemico senza bisogno di reinventarlo. Il ritorno al modello di sviluppo sovietico pretende un nemico esterno chiaro e una serie di stati satellite che siano sfruttati e sfruttabili dal governo centrale in modo totale. Questa condizione, rispolverata da Putin e dalla Duma, presuppone l’asservimento delle ex repubbliche sovietiche alla “causa”, altrimenti il paese rinchiuso su stesso e nemico del modello di sviluppo liberale crolla nel default economico. Tale asservimento deve essere seguito o attraverso la presenza di paesi di fatto “controllati” con governi fantoccio, come nel caso della Bielorussia o attraverso le armi e il rovesciamento di condizioni politiche che siano solo di libertà. 

Le spinte propagandistiche filorusse europee e italiane (penso ai Santoro e agli Orsini) non hanno compreso nemmeno superficialmente il modello intrapreso.  Si pensi come la Russia centrale sia passata dallo sfruttamento delle repubbliche, corrispondente ad un territorio vastissimo, al doversi occupare in modo più o meno solitario del proprio sviluppo sulla base di un paese che, tolte poche città, è un territorio al limite della fame. Il modello che ha visto l’invasione dell’Ucraina parte dal presupposto che: Estonia, Lettonia, Lituania, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Armenia, Azerbaigian, Georga, Bielorussia, Moldavia, Ucraina debbano tornare sotto controllo russo o essere a servizio della Federazione Russa. Questo per contrastare la NATO? No la favoletta non regge nemmeno studiando la storia più recente. La Russia ha invaso l’Ucraina per le terre, le risorse umane, le risorse naturali e industriali di un impero che non esiste più, per ridare vita ad una modello “vecchio” ma che senza “schiavi” non si regge.