Il presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano intervistato dal direttore della Repubblica Mario Calabresi. Nei fatti, da una parte un politico che, durante i suoi mandati di presidente della Repubblica, si è adoperato in tutti i modi possibili e immaginabili per stravolgere e indirizzare il corso del paese per creare un assetto istituzionale che soddisfacesse i desiderata della Commissione UE, della Germania, della BCE, del FMI e di chiunque altro eccetto che degli italiani che avevano votato, e dall'altra un giornalista i cui meriti sono quelli di essere alto e di avere avuto un padre commissario di Polizia assassinato in un agguato terroristico e, soprattutto, di essere "appecorato" alla linea politica dell'attuale Governo e del presidente del Consiglio che ne è a capo.

Che cosa poteva scaturire dall'intervista se non un sostegno, ma che bisogna chiamare endorsement per adeguarsi ai tempi, al di là della logica e del buon gusto a favore del referendum confermativo alla riforma costituzionale? E così è stato.

Cominciamo dal buon gusto.

Nel passato, gli ex presidenti della Repubblica, nel loro ruolo di senatori a vita, hanno partecipato alle sedute della camera di appartenenza, hanno votato, ma raramente o limitatamente hanno fatto campagne politiche impegnandosi a favore o contro determinate leggi. In pratica, hanno più o meno mantenuto il loro status di arbitro delle istituzioni acquisito con l'elezione a presidente della Repubblica. Hanno espresso dei voti a favore o contro determinate leggi, ma raramente hanno espresso le proprie opinioni pro o contro.

Al contrario, Giorgio Napolitano ha caratterizzato i propri mandati stravolgendone le finalità, fino a trasformarli facendo diventare l'Italia non più una Repubblica parlamentare, ma una Repubblica presidenziale.  È naturale che un personaggio simile, e non si sa bene per quali finalità, continuasse, una volta diventato senatore a vita, nella sua attività di coordinatore, suggeritore, guida della politica del paese.

Il motivo di tale attività? Questa è la spiegazione di Napolitano: «Non solo l'idea di una politica come passione, ma un'inquietudine profonda nel vedere così distruttivamente divisa la politica italiana, così poco presente il senso di responsabilità di fronte a problemi che gravano di molte incognite il futuro del Paese e delle sue giovani generazioni. Non vedo abbastanza respiro, capacità di elevarsi al di là di tante dispute estremizzate e di ritrovarsi in alcune grandi esigenze di impegno comune, come quella a cui ci ha richiamato tragicamente il recente terremoto. È questo che mi inquieta.»

Ma la necessità di questa intervista, che potremmo definire rappresentazione teatrale, è la necessità di dare una svolta alla campagna referendaria di Matteo Renzi per far credere agli italiani ancora indecisi o inconsapevoli che la riforma elettorale su cui sono chiamati ad esprimersi è la migliore possibile.

E veniamo alla logica.

Ma quali sono gli argomenti illustrati da Napolitano a dimostrazione della sua tesi? Come ormai abbiamo già visto finora e vedremo in futuro, chi sostiene la riforma costituzionale si guarda bene dal supportarla entrando nel merito. Così Napolitano non poteva non fare altrettanto:  «La riforma non è né di Renzi né di Napolitano, ma è quella su cui la maggioranza del Parlamento ha trovato l'intesa. E importanti sono le novità che contiene, nelle quali perciò mi riconosco in coerenza con le tesi da me a lungo sostenute. È bocciandola che se ne farebbe un'occasione mancata. Lasciando credere che si potrebbe ripartire da zero e fare meglio.»

E sul fatto che questa riforma, sia basata su un testo del Governo e non sia il risultato di un dibattito parlamentare, Napolitano risponde in questo modo:  «Sono state le Camere che a schiacciante maggioranza, il 29 maggio 2013 (era allora in carica il governo Letta) hanno impegnato il governo a presentare alle Camere un disegno di legge costituzionale di cui la mozione parlamentare aveva indicato finalità e obbiettivi. Renzi ha ricevuto il testimone e non ha dunque con una scelta arbitraria calpestato il Parlamento.»

Ma Napolitanto si è dimenticato di ricordare che quella mozione conteneva anche questo passaggio: "...la necessità di definire tempestivamente, attraverso l'approvazione di un'apposita legge costituzionale, una procedura straordinaria di revisione costituzionale che permetta di avviare un lavoro comune dei due rami del Parlamento, di programmare una tempistica certa e in linea con le attese del Paese dell'esame dei progetti di legge di revisione della Costituzione, di assicurare un più largo consenso parlamentare in sede di approvazione degli stessi e di potenziare il controllo dei cittadini sul risultato finale del processo riformatore; una procedura, dunque, idonea a valorizzare il ruolo del Parlamento e ad assicurare la partecipazione diretta dei cittadini; preso atto dell'intendimento del Governo di estendere il dibattito sulle riforme alle diverse componenti della società civile, anche attraverso il ricorso a una procedura di consultazione pubblica...»

E secondo il presidente emerito della Repubblica quanto sopra riportato è stato soddisfatto nell'approvazione del nuovo testo costituzionale? Naturalmente non lo sapremo perché l'ottimo direttore Calabresi questa domanda non l'ha fatta... e neppure se l'è posta come dubbio nel pubblicare il resoconto dell'intervista.

Ma il lavoro di Napolitano non era finalizzato esclusivamente ad appoggiare il referendum costituzionale. Infatti, la riforma elettorale denominata Italicum, così come è stata confezionata, non è conveniente a garantire al Partito Democratico, o ad uno schieramento politico alternativo ma "convenzionale" e contiguo al Sistema, una vittoria certa. Infatti, la possibilità che il Movimento 5 Stelle possa andare al ballottaggio è un pericolo reale e si pone, per questo motivo, l'impellente necessità di cambiare di nuovo la legge elettorale.

Ma, secondo Napolitano, non è questo il motivo per cui lui preme per una modifica dell'Italicum: «Non mi sono mai posto il problema di trovare un marchingegno per impedire una possibile vittoria dei Cinquestelle né di escluderli da consultazioni ed eventuali intese per modifiche alla legge elettorale.»

E ci mancherebbe che si fosse espresso altrimenti. Ma allora qual è il motivo? «Ci sono nuovi partiti, alcuni dei quali in forte ascesa che hanno rotto il gioco di governo tra due schieramenti, con il rischio che vada al ballottaggio previsto dall'Italicum e vinca chi al primo turno ha ricevuto una base troppo scarsa di legittimazione col voto popolare. Si rischia di consegnare il 54% dei seggi a chi al primo turno ha preso molto meno del 40% dei voti. Ritengo che questi e altri aspetti dell'Italicum meritino di essere riconsiderati.»

Quindi, reinterpretando le parole di Napolitano in base all'attualità politica, si può riassumere che a lui l'Italicum non piace perché il ballottaggio non potrà esser fatto solo tra centrosinistra e centrodestra, perché al posto di uno di questi schieramenti potrebbe esserci il Movimento 5 Stelle. Per tale motivo la legge va cambiata tenendo conto di questa situazione.

Naturalmente, questo Napolitano non lo ha detto, ma lo ha fatto chiaramente intendere! E come non sottolineare poi che le leggi elettorali non si fanno in base agli scenari politici del momento, ma in base a logiche di rappresentanza e di equità per tutti i possibili schieramenti in campo, qualunque siano. Ma per uno come Napolitano, questo deve essere un concetto inconcepibile, di una stravaganza unica.

Altre domande, poi, hanno riguardato la situazione internazionale, ma certo non era questo il motivo per cui l'intervista è stata organizzata. La campagna d'autunno di Renzi è iniziata. La tv di Stato è stata riformata ed ha iniziato il proprio lavoro di propaganda a supporto del Governo. I media allineati sono stati chiamati a fare altrettanto. Sappiamo, quindi, che cosa ci aspetterà nelle prossime settimane e nei prossimi mesi.

Continuando di questo passo, probabilmente, i prossimi appuntamenti istituzionali saranno aperti o chiusi con Fanfara e Marcia Reale d'Ordinanza.