Intervista a Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale. Associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

di Lucia De Sanctis



Professore, cosa ne pensa della attuale disciplina del trattamento sanitario obbligatorio?
In una democrazia di matrice solidaristico sociale qual è la nostra, non può esistere salute psicologica senza la libertà, perché quando manca quest’ultima la tutela dei diritti fondamentali della persona umana è a rischio. Ritengo che l’istituto del trattamento sanitario obbligatorio vada rivisto, al più presto, e adeguato a una maggiore conformità costituzionale della privazione della libertà personale di un potenziale paziente con problemi di natura psicologica e/o psichiatrica.

Ci può spiegare brevemente cos’è il TSO?Il trattamento sanitario obbligatorio (tso) è il ricovero coatto e forzato del paziente che ha bisogno di cure psichiatriche immediate e che è ritenuto potenzialmente pericoloso per se stesso e per gli altri. La normativa attualmente vigente stabilisce che tale misura coercitiva della propria libertà personale sia disposta con ordinanza dal Sindaco del Comune dove risiede la persona nei cui confronti si vuole disporre il trattamento o del Comune dove la persona momentaneamente si trova, che in qualità di autorità sanitaria emana il provvedimento amministrativo. Provvedimento emanato su proposta motivata di un medico, convalidata dalla ASL di competenza. Entro quarantotto ore dal ricovero il provvedimento deve essere trasmesso al giudice tutelare che, nelle quarantotto ore successive deve provvedere convalidando o rigettando. Se la misura richiesta non è convalidata, il Sindaco deve disporre l’immediata revoca della sua ordinanza. Entro trenta giorni (dalla scadenza del termine di quarantotto ore per la convalida) il Sindaco può proporre ricorso contro la mancata convalida del provvedimento che dispone il tso. Per quanto riguarda la revoca, qualsiasi persona interessata, congiunto o estraneo, può proporre ricorso chiedendo al Sindaco la revoca o la modifica del provvedimento. La persona sottoposta a tso, o chiunque vi abbia interesse, può, inoltre, proporre ricorso al tribunale competente per territorio contro il provvedimento convalidato dal giudice tutelare. Questa è molto sinteticamente la normativa che disciplina attualmente l’istituto del trattamento sanitario obbligatorio in Italia.

Secondo lei, come si può porre rimedio alle possibili storture dell'attuale regolamentazione?Assolutamente sì. Il primo intervento auspicabile riguarda senza dubbio il rafforzamento del sistema di garanzie procedurali, introducendo le tutele essenziali previste per le persone in stato di arresto. Un non delinquente non può essere trattato come o peggio di un delinquente. La misura “de quo” è un atto privativo della libertà personale, per cui a disporre il tso dovrebbe essere il Pubblico Ministero e non il Sindaco. Il Sindaco assieme ai due medici di cui uno specialista in psichiatria devono solo proporre al P.M. il quale con apposito provvedimento chiede la convalida al giudice tutelare. I certificati medici devono contenere le motivazioni specifiche per cui s’intende procedere attraverso un tso, con espressa indicazione delle misure sanitarie extra ospedaliere proposte e rifiutate dal paziente. Il paziente deve essere assistito da un legale di fiducia o preso ad esempio nell’elenco dei difensori d’ufficio.

Cosa ne pensa degli strumenti di coercizione fisica a volte utilizzati?Un altro punto su cui occorre assolutamente intervenire è proprio il divieto di utilizzare strumenti di restrizione meccanica, cioè le procedure che utilizzano la coazione fisica (ad es. lacci, manette, camicie di forza) e/o chimica (terapia del sonno, farmaci stordenti) per limitare i movimenti dell’individuo. Deve essere garantito anche il diritto di visita all’interno dei reparti psichiatrici, come la possibilità di poter comunicare con l’esterno. Questo impone che nel corso della degenza non può essere impedito o limitato in alcun modo il diritto a ricevere visite, al tempo stesso deve essere garantito il diritto della persona di detenere e utilizzare mezzi di comunicazione compatibili con il suo stato. Le proroghe della misura coercitiva non possono essere illimitate per cui andrebbero previste tassativamente dalla legge con motivazioni altrettanto specifiche.

Secondo lei è importante il ruolo del giudice tutelare?Nel mio progetto di modifica dell’istituto,  si prevede che per la convalida del tso il giudice tutelare si debba recare  personalmente in ospedale ed esaminare in concreto il paziente prima di emettere il provvedimento di convalida o di rigetto al trattamento sanitario obbligatorio.

Il tso è dunque una restrizione della libertà personale?Direi ad una privazione. Per convinzione ideologica, ma anche di prassi giudiziarie vissute sul campo, sono contrario a qualsiasi coercizione della libertà personale che non dipenda dalla commissione di un reato. Sono contrario a qualunque intervento di forza “bruta” e ritengo che in questa situazione non si debba per forza intervenire contro la volontà della persona. Quando uno prende la persona con la forza, poi finisce probabilmente anche per legarla al letto o addirittura maltrattarla. Se il paziente non è preso con la forza, non c’è nessuna necessità di altri interventi coercitivi. Una cosa che non riesco a spiegarmi - ma non sono un medico - è come possa essere possibile che una persona mentalmente disturbata si senta meglio dopo che è di fatto sequestrata contro la sua volontà e sottoposta a trattamenti forzati. Ricordo che fino a poco tempo fa gli omosessuali erano sottoposti a tso perché ritenuti malati di mente! L’attuale istituto è ormai obsoleto ed anacronistico per cui andrebbe realmente riformato al più presto.