L’ultimo rapporto mondiale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) sui determinanti sociali dell’equità nella salute (2025) mette in evidenza una realtà ben documentata ma spesso trascurata nei sistemi sanitari: le principali cause delle cattive condizioni di salute non risiedono esclusivamente nel settore sanitario, ma sono profondamente radicate in fattori socioeconomici come l’istruzione, le condizioni abitative, l’occupazione e la discriminazione sistemica.
Secondo il rapporto, le disuguaglianze nei determinanti sociali possono comportare una riduzione drastica dell’aspettativa di vita in buona salute, fino a 33 anni di differenza tra i paesi con i più alti e i più bassi indicatori. Un dato che sottolinea come le condizioni di vita abbiano un impatto sulla salute maggiore delle predisposizioni genetiche o dell’accesso alle cure.
“Il nostro mondo è diseguale. Il luogo in cui nasciamo, cresciamo, viviamo, lavoriamo e invecchiamo influenza significativamente la nostra salute e il nostro benessere”, ha dichiarato il Direttore Generale dell’OMS, Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus.
Disuguaglianze persistenti e crescenti
Le evidenze epidemiologiche dimostrano che la salute segue un gradiente sociale: a minore livello socioeconomico corrispondono condizioni di salute peggiori e una minore aspettativa di vita in buona salute. Le aree più deprivate registrano tassi più alti di mortalità, morbilità cronica e accesso limitato ai servizi essenziali.
Alcuni indicatori chiave:
- I bambini nati nei paesi più poveri hanno una probabilità 13 volte maggiore di morire prima dei 5 anni rispetto a quelli nati nei paesi ad alto reddito.
- Il 94% della mortalità materna globale si verifica nei paesi a basso e medio reddito, con tassi significativamente più alti tra le donne appartenenti a gruppi etnici marginalizzati.
In alcuni contesti ad alto reddito, le donne indigene hanno un rischio triplo di mortalità perinatale rispetto alle donne non indigene.
Le radici sistemiche della diseguaglianza
Il rapporto evidenzia come la discriminazione strutturale, le disuguaglianze di genere, le crisi ambientali e i conflitti contribuiscano a esacerbare il divario sanitario. Ad esempio, il cambiamento climatico potrebbe spingere tra 68 e 135 milioni di persone in povertà estrema nei prossimi cinque anni, aggravando l’accesso ai determinanti di base della salute.
A ciò si aggiunge il dato preoccupante che 3,8 miliardi di persone nel mondo non dispongono di alcuna forma di protezione sociale, elemento fondamentale per garantire continuità assistenziale, reddito durante malattia o maternità, e accesso ai servizi di prevenzione.
Il crescente debito pubblico, inoltre, ha paralizzato la capacità di spesa pubblica in molti paesi: il valore complessivo degli interessi versati dai 75 paesi più poveri è quadruplicato nell’ultimo decennio, sottraendo risorse vitali alle infrastrutture sociali.
Un’agenda per il cambiamento
L’OMS richiama governi, istituzioni accademiche, società civile e settore privato a una risposta coordinata e intersettoriale. Il rapporto propone un’agenda basata su quattro direttrici:
- Ridurre le disuguaglianze economiche, investendo in servizi pubblici universali e infrastrutture sociali.
- Contrastare la discriminazione strutturale e tutelare le popolazioni vulnerabili colpite da migrazione forzata, conflitti o emergenze.
- Affrontare in modo equo le transizioni climatica e digitale, promuovendo co-benefici per la salute.
- Riformare i meccanismi di governance, allocando risorse, potere decisionale e capacità di intervento al livello più locale.
La salute non è solo il prodotto della biologia o della qualità dei sistemi sanitari, ma una conseguenza diretta dell’ambiente sociale, politico ed economico. Ignorare i determinanti sociali della salute significa accettare che milioni di persone continuino a vivere e morire in condizioni evitabili.
I sistemi sanitari del futuro devono dunque ampliare il proprio raggio d’azione: non più semplici erogatori di cure, ma agenti attivi di giustizia sociale.