Di fronte a una crisi profonda e strutturale del personale sanitario, le Regioni e le Province autonome italiane rompono gli indugi e mettono sul tavolo un documento organico, ambizioso e concreto. Non si tratta di un semplice elenco di buone intenzioni, ma di un vero e proprio piano d’azione per affrontare un’emergenza ormai cronica e avviare una riforma sostenibile del Servizio Sanitario Nazionale (SSN).
Gli assi portanti della proposta ruotano attorno a cinque direttrici: adeguamento dei salari, revisione delle procedure di reclutamento, rilancio del welfare contrattuale, riordino delle professioni sanitarie e spinta decisa sulla digitalizzazione. Il tutto con un obiettivo duplice: tamponare l’emorragia di personale e costruire basi solide per il futuro del SSN.
Il confronto internazionale è impietoso. Un infermiere italiano guadagna mediamente quanto il salario medio nazionale, mentre nei Paesi OCSE la stessa figura percepisce il 20% in più. Non va meglio per medici e altri operatori sanitari. È una distorsione che, se non corretta, continuerà a spingere i professionisti verso l’estero o fuori dal SSN.
Le Regioni propongono di intervenire direttamente sulla Legge di Bilancio, aumentando stabilmente il Fondo Sanitario Nazionale e rimuovendo i limiti legislativi che bloccano il trattamento accessorio. In particolare, si punta a incentivare economicamente il personale che lavora nelle aree interne e disagiate, dove le difficoltà di reclutamento sono più marcate.
Oggi il SSN riconosce 31 profili sanitari, molti dei quali sovrapposti o rigidi, incapaci di adattarsi ai bisogni reali dei pazienti e delle strutture. Le Regioni mettono sul piatto una revisione radicale: accorpamento dei profili con funzioni simili, definizione di equipollenze operative, impiego trasversale delle competenze e promozione di modelli basati sullo skill mix.
L’obiettivo? Superare una logica per compartimenti stagni, favorire l’interdisciplinarietà e rendere il SSN più agile, specialmente in un contesto dove cronicità e invecchiamento della popolazione sono la norma.
Non c’è trasformazione del SSN senza innovazione digitale. Ma serve fare sul serio. Le Regioni propongono di integrare la trasformazione digitale alla programmazione del personale, sfruttando la Robotic Process Automation per automatizzare le attività ripetitive e liberare tempo clinico.
Altre leve strategiche includono: intelligenza artificiale per supporto clinico, espansione della telemedicina – soprattutto per la cronicità – e formazione obbligatoria del personale, per evitare che la tecnologia diventi un ostacolo invece che un alleato.
Nel contesto attuale, meno dell’1% dei medici e poco più del 5% degli infermieri del SSN provengono dall’estero. Una percentuale ridicola, specie considerando la concorrenza globale sempre più agguerrita. Il problema? La frammentazione delle procedure, la burocrazia paralizzante e l’assenza di una strategia nazionale.
Le Regioni chiedono una sterzata decisa: semplificazione e velocizzazione del riconoscimento dei titoli, accordi bilaterali, percorsi di accoglienza culturale e linguistica, e standard minimi di integrazione. Non si tratta di sostituire la formazione nazionale, ma di affiancarla con intelligenza e tempestività.
Non basta reclutare, bisogna trattenere. E oggi il SSN perde pezzi ogni giorno. Le cause sono note: burnout, precarietà, rigidità organizzative e mancanza di prospettive di carriera. Le Regioni propongono un pacchetto integrato di interventi: concorsi più snelli, contratti flessibili, welfare contrattuale potenziato (conciliazione vita-lavoro, supporto alla genitorialità), benessere organizzativo e percorsi professionalizzanti, soprattutto per gli infermieri.
Una nota particolare riguarda la medicina generale, sempre meno attrattiva per i giovani. La formazione è considerata meno qualificante, la borsa di studio è poco competitiva e le tutele sono carenti. Il risultato? Iscrizioni in picchiata, con dati che parlano chiaro: all’aumentare dei posti nelle specializzazioni universitarie, calano quelli nei corsi regionali di medicina generale.
Le Regioni propongono di:
- equiparare il riconoscimento formativo e contrattuale dei medici di base a quello degli specialisti;
- integrare periodi formativi nei pronto soccorso e nei reparti di emergenza;
- permettere ai medici ospedalieri di coprire temporaneamente carenze sul territorio;
- valorizzare e stabilizzare il ruolo dei medici specializzandi nell’assistenza primaria.
Il documento delle Regioni è chiaro, dettagliato e tecnicamente solido. Ma non sarà sufficiente senza una volontà politica ferma, a livello centrale, di mettere mano in profondità al modello organizzativo e finanziario del SSN. Senza risorse adeguate e senza un cambio di passo, la crisi del personale sanitario continuerà a peggiorare, con effetti devastanti sulla tenuta del servizio pubblico.
In gioco non c’è solo il destino di medici e infermieri. C’è la salute collettiva del Paese. E il tempo per intervenire sta scadendo.