Marilyn e il clistere (seconda parte)
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Torniamo a me, quella bambina alla finestra: la quale, nell'anno della rivoluzione dei costumi, ma anche di tante morti famose ( il citato Bob Kennedy, Martin Luther King), del rifiuto di Franca Viola, in Sicilia, a sposare il suo rapitore, dell'occupazione sovietica di Praga, delle rivolte studentesche e del suo ( Carmelina all'anagrafe, per tutti Carmen al nord, Carmela al sud), prossimo ingresso alle scuole medie, scopre il divismo hollywoodiano.
Orbene, Marilyn, o meglio il suo personaggio, era stato per alcuni anni in un limbo, circonfusa di tenerezza e pena: simbolo della ragazza sola, sfortunata, frastornata dalla fama, punita dalla sua vita sregolata, oca platinata da compiangere. E quell'articolo apriva un nuovo filone, il mistero sulla sua morte.
Una sua biografia "normale" sarebbe ridondanza, panna montata su una torta già immensa, e la riassumiamo con un mio vecchio articolo on line: la base del nostro discorso.
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Norma Jeane Baker Mortensen nacque nel 1926 a Los Angeles, California. La famiglia si presentava già ingarbugliata, come più o meno si legge in quasi tutte le biografie degli attori americani.
La mamma Gladys Monroe, ancora molto giovane, aveva già alle spalle un primo matrimonio e due figli con il signor Baker e, secondo diverse fonti, un secondo in via di fallimento con tale Mortensen ( per alcuni Mortenson), quando nacque questa bimba bionda e graziosa. La paternità è incerta: si trattava probabilmente di un collega della madre, tale Stanley Gifford, già sposato e in fuga da grane extraconiugali.
Gladys soffriva di disturbi nervosi e presto non fu più in grado di badare neppure a se stessa; fu ricoverata per sempre, raramente usciva con la tutrice, per periodi sempre più brevi, finché non uscì più. Pare che una volta, in preda a una crisi, avesse cercato di soffocare Norma con un cuscino.
Bisogna sfatare qualche leggenda. Non è vero che Gladys non capisse assolutamente più nulla. Forse non diede molto affetto a quella figlia “scomoda”, ma fu aggiornata, più o meno con regolarità, sulle sue vicende. Norma e la sorellastra Bernice si frequentavano e si sentivano sporadicamente. Finché furono ragazze, si tenevano di tanto in tanto riunioni di famiglia con zii e cugini ( il fratellastro era morto giovanissimo): in qualche modo, molto americano, esisteva una famiglia. Norma aveva anche una nipotina, Mona Rae, figlia di Bernice. La ragazza e la madre furono ospiti, anni fa, di un programma italiano, e diversi parenti e amici fecero lo stesso, segno di un interesse davvero spiccato del nostro paese verso la bionda delle bionde.
Una volta arrivata al successo, Norma pagava puntuale la retta del ricovero dove la madre viveva. Dopo la prematura scomparsa della figlia, Gladys cercò di fuggire dall’istituto per cercarne la tomba, anche se non riuscì a trovarla. Espresse disappunto per la carriera di Marilyn, che lei non aveva mai approvato. Aveva lavorato come operaia, addetta alle pellicole, nell’industria del cinema e quello che ne sapeva in proposito non le era mai piaciuto. Se n'è andata nel 1983.
Norma aveva una sorta di “ amministratrice di sostegno”, che la diede in affido, come si direbbe oggi: si possono facilmente immaginare un’infanzia e un’adolescenza difficili. Negli anni trenta l’attenzione ai disagi sociali forse non era alta come oggi. Si prendevano in casa gli orfani in cambio di un sussidio . La coppia con cui visse più tempo si giustificò, in un’intervista, rivendicando che almeno, così, li si toglieva dalla strada e andavano a scuola.
La ragazzina fu molestata o, peggio, violentata, come lei insinuò in seguito, a più riprese, con amici e giornalisti? E’ probabile, ma non scontato. Fu costretta a lavare in continuazione panni, piatti e pavimenti, in altre parole a fare la serva di queste famiglie affidatarie, come lamentò in tante interviste e confidenze private? Qui bisogna, almeno in parte, darle credito. In più, la sua responsabile si suicidò.
Non bastasse, nell’ultima famiglia che la ospitava, come spesso accade negli States, i “genitori” dovevano cambiare residenza, trasferirsi lontano: fu deciso di mandare la ragazza in un istituto per orfani o ragazze sole, a meno di non trovarle un marito così, a tavolino.
Norma era una studentessa svogliata e poco incentivata, ovviamente, a continuare(le piaceva solo un po’ lo sport, il soft ball che si giocava a scuola e solo in seguito divenne una lettrice appassionata, portandosi sul set borse pieni di libri, tanto che qualcuno la accusò di posare a intellettuale). Non aveva dunque grandi alternative alle nozze un po' forzose, ma probabilmente si piegò di buon grado, un po' rassegnata e un po' incuriosita dal candidato marito, che in fondo era un bel ragazzo e un tipo a posto.
Lei non commentò mai più di tanto il primo matrimonio; lo ha fatto lui, Jim Dougherty, la prima volta negli anni ’70, su pressione di giornalisti e biografi ( fu anche ospite di Paolo Limiti nel 1997).
Jim, di qualche anno maggiore, tenne a dire che lei arrivò vergine al matrimonio; che aveva un carattere allegro e vivace e non sembrava affatto quel groviglio di nodi come venne descritta in seguito; non pareva traumatizzata da qualcosa e gli inizi furono felici.
La madre di Jim gli aveva proposto il matrimonio con quella ragazzina. Lui la conosceva, per averla portata a ballare qualche volta, senza seguiti ulteriori o romantici: probabilmente le famiglie già tramavano.
Gli venne detto che, se non l’avesse sposata, la poverina sarebbe tornata in istituto e lui accettò senza esitare. Norma, in abito bianco, andò all’altare a sedici anni.
Era il 1942 e il ragazzo si ritrovò subito distaccato nel Pacifico per la guerra in corso. Della vita in comune racconta con serenità, descrivendo due giovani allegri e un po’ incoscienti di essere realmente sposati, anche se parlarono di avere un figlio.
Lei trovò lavoro in una fabbrica di aerei, dove aveva come collega il futuro divo Robert Mitchum-. Incontrò un fotografo, il quale la convinse che era carina e fotogenica e la fece posare per riviste di moda. Ebbe divagazioni extraconiugali, senza patemi. Chiese il divorzio e Jim la prese bene: il suo dovere, l’aveva fatto e un grande amore non era riuscito a sbocciare. In seguito Jim entrò in polizia, dove rimase fino alla pensione e, naturalmente, si risposò.