Dire pane al pane e vino al vino, da un po' di tempo a questa parte, sembra diventato un assurdo e farlo in relazione ad argomenti che riguardano la politica è diventato addirittura impossibile. Per questo, la dichiarazione odierna del presidente del Brasile, Luiz Inacio Lula da Silva,  rilasciata durante una conferenza stampa ad Addis Abeba dove era presente per partecipare a un vertice dell'Unione africana va sottolineata e applaudita.

Questo è ciò che ha detto Lula:

"Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza non è una guerra, è un genocidio".

Non solo. Il presidente brasiliano ha paragonato la guerra di Israele a Gaza alla campagna di Adolf Hitler per sterminare il popolo ebraico:

"Non è una guerra di soldati contro soldati. È una guerra tra un esercito altamente preparato contro donne e bambini. Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza al popolo palestinese non è accaduto in nessun altro momento della storia... in realtà è successo: quando Hitler ha deciso di uccidere gli ebrei".

Lula ha criticato anche la recente decisione di una ventina di Paesi di sospendere gli aiuti all'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA), dopo che Israele ha accusato alcuni dei suoi dipendenti (12 su 13mila nella sola Gaza) di coinvolgimento nell'attacco del 7 ottobre. Lula, che sabato ha incontrato il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh a margine del vertice in Etiopia, ha affermato che il Brasile aumenterà il proprio contributo all'agenzia e ha esortato gli altri Paesi a fare altrettanto:

"Quando vedo il mondo ricco [riferendosi ai Paesi occidentali, ndr] annunciare che sospenderà i suoi contributi agli aiuti umanitari per i palestinesi, immagino quanto sia grande la consapevolezza politica di queste persone e quanto sia grande lo spirito di solidarietà nei loro cuori. Dobbiamo smettere di essere piccoli quando abbiamo bisogno di essere grandi".

Il presidente brasiliano ha poi ribadito il suo appello per una soluzione al conflitto basata su due Stati, con la Palestina "definitivamente riconosciuta come Stato sovrano a pieno titolo".

Il ministro degli Esteri israeliano, Katz, ha reso noto di aver convocato per lunedì l'ambasciatore brasiliano per consegnargli un nota di protesta. Ma anche il premier Natanyahu, che ormai è da considerarsi praticamente una specie di dittatore visto che rappresenta soprattutto se stesso, ha definito le parole di Lula gravi e vergognose:

"Questa è una banalizzazione dell’Olocausto - ha detto - e un tentativo di attaccare il popolo ebraico e il diritto di Israele all'autodifesa. Fare paragoni tra Israele, i nazisti e Hitler significa oltrepassare una linea rossa".

Naturalmente non poteva mancare la ormai sempre più ridicola arma ad autodifesa del sionismo: l'antisemitismo. Stavolta, a farne ricorso è stato Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem, che ha etichettato le parole di Lula "una combinazione oltraggiosa di odio e ignoranza":

"Paragonare un paese che lotta contro un’organizzazione terroristica omicida alle azioni dei nazisti durante l’Olocausto è degno di ogni condanna. È triste che il presidente del Brasile si sia abbassato a un livello così estremo di distorsione dell’Olocausto".

Dayan, però, non ha spiegato come sia possibile paragonare ad una lotta contro il terrorismo l'uccisione di quasi 29mila palestinesi (per due terzi donne e bambini), così come la sistematica e metodica distruzione di ogni edificio (compresi ospedali, scuole, moschee e chiese) e di ogni infrastruttura (comprese quelle erogano acqua potabile) all'interno della Striscia di Gaza, così come anche in Cisgiordania, anche se non con la stessa intensità.

E se l'assurda contabilità dei morti deve essere una giustificazione ai massacri, allora Israele deve anche spiegare perché dovrebbe essere giustificata nel compiere questo genocidio a seguito dell'uccisione di 1200 israeliani, mentre la resistenza palestinese non dovrebbe  esserlo in relazione all'attacco del 7 ottobre, visto che in precedenza IDF, polizia e coloni ebrei "solo" dal 2008 avevano ucciso oltre 6.500 palestinesi.