Questo weekend si sarebbe dovuta svolgere a Rimini la 93° Adunata degli Alpini. Ogni anno si radunano simpatizzanti, ex Alpini e tante persone per celebrare uno dei più antichi corpi militari d’Italia. Le adunate di oggi sono in realtà una grande festa, che poco sanno di militare, ma sono una celebrazione in realtà dello spirito alpino. Quest’anno a causa del Covid19 questa grande festa è stata annullata. 

La storia degli Alpini arriva da fine ‘800 con la nascita del Regno d’Italia. Il nuovo stato italiano nasce sul braccio di ferro con l’Austria e il confine a Nord, sulle Alpi, fu per diversi decenni molto “caldo”. Così nel 1872 fu fondato con Regio Decreto il “Corpo degli Alpini”. Fu il capitano di Stato Maggiore, tal Giuseppe Perrucchetti, lombardo e profondo conoscitore delle Api, che intuì che il nemico andava fermato sui difficili colli alpini prima che sfondasse sulla Pianura Padana. Fra gli altri che diedero un forte impulso al Corpo fu il ministro delle Finanze Quintino Sella. Biellese di nascita, oltre che politico fu un grande scienziato per via dei suoi studi in ingegneria idraulica e a lui si deve la creazione del CAI, Club Alpino Italiano. Fu sempre Sella che con una grande riforma dell’Esercito inserì il Corpo degli Alpini.

Il simbolo è di certo ancora oggi quel cappello di peltro con una penna (che può essere di diversi colori in base al grado) che vide la luce già alla nascita del Corpo. La penna è simbolo di volare alto come le Aquile che raggiungono  picchi più estremi delle montagne. Insieme alla penna è abbinata una nappina di diverso colore in base al reggimento. Ovviamente anche gli Appennini hanno dato contributo al corpo degli Alpini con molti soldati e con l’Aquila come riferimento per il centro-sud.

Il battesimo del fuoco di questo Corpo avvenne però lontano dalle Alpi e precisamente nella battaglia di Adua del 1896 nella guerra contro l’Etiopia in Africa.  Non fu certo un esordio fortunato, come non lo fu tutta la campagna d’Africa. Diverse centinaia di alpini trovarono così la morte sugli altopiani etiopi lontani dalle loro montagne e dalle stelle alpine.

Arriviamo agli inizi del 1900 ed arriva la prima guerra mondiale. Qui sarà la vera prova del nove di questo reparto dell’esercito e proprio sulle Alpi si giocheranno le mosse strategiche di tutto il conflitto. Le Dolomiti e tutto il Nord-Est saranno un campo di battaglia fatto di sofferenze, avanzamenti e arretramenti lungo le trincee. I patimenti che vedranno gli Alpini e tutti gli altri corpi d’armata impegnati nel conflitto contro l’Austria saranno inenarrabili, freddo, gelo e neve, saranno “compagni” di viaggio dei lunghi e rigidi inverni alpini.

Il 10 giugno 1917, anno tragico per le sorti del conflitto dal fronte italiano, inizia la battaglia dell’Ortigara. L’Ortigara, monte di 2.000 m circa al confine fra Veneto e Trentino diventerà la montagna simbolo degli Alpini. Nonostante il valoroso sforzo dei soldati, ma a causa dell’inadeguatezza dei vertici dell’esercito, cadono a terra oltre 8.000 soldati, a maggioranza del corpo di montagna. Il conflitto si chiuderà poi in maniera favorevole per l’Italia e la resistenza delle truppe alpine sulle alte vette fu determinante.

Anche nel secondo conflitto mondiale, l’esercito fu impegnato in diverse missioni e purtroppo anche qui non fu esente da carneficine inutili. Gli Alpini combatteranno in casa solo nel giugno 1940, questa volta sulle Alpi Occidentali nella guerra contro la Francia. Qui si scontreranno soldati che fino a qualche decennio prima, facevano parte dello stessa nazione: il Regno di Sardegna che univa piemontesi, savoiardi e gli altri popoli del regno sabaudo. Questa fu l’unica battaglia sulle Alpi e poi gli alpini furono impegnati altrove: Albania, Jugoslavia, Grecia e Russia. Un esercito purtroppo non dotato di equipaggiamenti adeguati. mostrerà tutte le sue debolezze. Celebre la canzone “Il testamento del Capitano” e chiara è la frase “I suoi alpini ghe manda a dire che non ha scarpe per camminare”. Il valore degli uomini non basta quando non si affrontano le difficoltà climatiche con un esercito senza una guida e senza materiale. Tragica sarà la ritirata di Russia, con decine di migliaia di morti, la maggior parte colpiti dal micidiale inverno russo. Anche qui gli Alpini pagheranno il prezzo più alto.

Nella seconda metà del novecento gli Alpini vedono però un destino diverso, fatto si da qualche missione militare all’estero, ma fatta sopratutto di volontariato. Si formano tanti gruppi di ex Alpini e non, grazie alle tantissime sezioni sparse in tutta Italia e nascono così i gruppi di Protezione Civile. L’Associazione Nazionale Alpini si vede impegnata in maniera organica nel 1976 con il devastante terremoto del Friuli. Il lavoro dei volontari, solo per citarne qualcuno,  proseguirà con il terremoto dell’Irpinia del 1980, le alluvioni di Piemonte e Valle d’Aosta del 1994 e del 2000, il terremoto dell’Aquila del 2009 e quello del 2016 in Centro Italia. L’aiuto degli alpini non è mancato neppure all’estero in missioni di volontariato e fra di esse citiamo gli interventi in Albania, Francia, Iran o per lo tsunami in Asia nel 2004. 

Oggi l’Associazione Nazionale Alpini conta 12.000 volontari che sono attrezzati e pronti per affrontare le emergenze e sono davvero amati da tutti e sono ormai un simbolo di generosità. In ogni caso troviamo ancora anche oggi le truppe militari alpine professionistiche che vengono impegnate dal Ministero della Difesa in diverse missioni di “peace keeping” in mezzo mondo, ma con l’abolizione della leva, i numeri sono piccoli.

Quest’anno, dunque,  non sarà possibile celebrare gli Alpini a Rimini, ma la loro voce non è mancata e in questa emergenza Covid19 sono stati in prima linea negli allestimenti di Ospedali da campo e di supporto alla popolazione. Il lavoro di centinaia di volontari è stato semplicemente immenso e spesso silenzioso.

Grazie Alpini, buona festa anche se virtuale! Arrivederci a Udine nel 2021!

Fonti Bibliografiche:
Associazione Nazionale Alpini, E.I.