Non c’è niente di meglio di un libro che ti fa ridere fino alle lacrime, senza mai scadere nel banale. È esattamente quello che fa Storie di eredità e altre amenità di Daniela Di Benedetto. Con una scrittura vivace, precisa fino al dettaglio più buffo, ci porta dentro una serie di racconti ispirati a fatti veri accaduti in Sicilia. Il risultato? Un mosaico di personaggi esagerati ma familiari, situazioni assurde ma tremendamente vere, che ti restano appiccicate addosso. La vera magia è che si ride tanto, ma nel frattempo si scava. La Sicilia c’è, con i suoi codici e le sue follie, ma c’è anche l’animo umano in tutta la sua fragilità. Daniela osserva, racconta, ironizza, ma non giudica mai.

 E quell’eredità che unisce tutte le storie non è solo una questione di beni o testamenti. È affetto, bisogno di essere visti, desiderio di lasciare il segno. È quel gesto non detto che tutti aspettiamo in cambio dell’amore che abbiamo dato. Anche se magari non ce lo meritiamo nemmeno. Ogni racconto inizia con un personaggio che pare una macchietta, ma a poco a poco tira fuori uno strato più duro, più reale. C’è la vicina ricca che uccide un materasso per trovare un topo. L’amica ficcanaso convinta di essere l’ancora di salvezza del quartiere. Il cugino che si materializza solo quando c’è da spartire. Leggi e pensi: aspetta, ma questa è mia zia. O quella del secondo piano. O sono io, in una giornata no. E lì scatta la risata vera, quella che ti prende proprio mentre ti stai riconoscendo. Fa un po’ male, ma è un male sano. Lo stile è scattante, lucido, senza fronzoli. Le parole stanno dove devono stare. Le scene si vedono, i dialoghi sembrano rubati alla vita vera. E poi c’è quella cosa rarissima: far ridere senza mai svuotare il senso.

 Qui si ride con intelligenza, ma anche con la pancia. Troppo, forse. Tipo io. A un certo punto, mentre scrivevo questa recensione, ho avuto un malessere. Lo stesso di un personaggio del libro. Lo chiamo psicocacca. Non ridete. O meglio, ridete, ma poi piangete anche voi. Perché io ho orari fissi per certe cose. Roba mentale-fisica che mi rimette al mondo. Ma a pagina non ricordo quale, mi sono messa a ridere così forte da perdermi l’orario. Saltato. Fine. Giornata andata. Tutta colpa di un libro troppo ben scritto. Daniela mi ha fatto ridere al punto da bloccarmi il corpo. Chi altro ci riesce? Eppure la cosa che più colpisce è quanto tutto sembri vero. Lo capisci che non è fantasia, ma osservazione. E non serve essere siciliani per entrare in queste storie. Perché parlano di tutti noi. Delle bugie che raccontiamo per farci amare.

 Delle cose a cui ci aggrappiamo per non affrontare certi vuoti. Di quanto la famiglia possa essere nido o trincea. Eppure, nonostante tutto, c’è sempre uno sguardo gentile su ognuno. Anche sul peggiore dei personaggi. Come a dire: sì, pure questi siamo noi. Ogni racconto ti fa ridere, sì, ma poi ti lascia addosso una domanda che resta. Ti fa pensare a come viviamo i legami, a cosa chiediamo agli altri, a quanto costa amare quando c’è in mezzo un’eredità. Non è solo un libro estivo. È un libro che ti entra dentro. Letteralmente, nel mio caso. Ti fa ridere, ti fa pensare, ti smuove. Ti porta dal comico all’amaro in una pagina sola. E alla fine ti lascia una sensazione rara: quella di aver letto qualcosa che ti somiglia. Sì, ho saltato la psicocacca. Ma ho guadagnato un libro che resta. Che non si dimentica. Che fa anche un po’ male, ogni tanto. Ma il male giusto. Quello che ti ricorda che sei viva. Anche quando ridi come una scema leggendo le disgrazie degli altri. Che poi, a ben vedere, tanto altri non sono. Sono noi. Sono io. E da oggi, come una delle donne del libro, scrivo solo nelle giornate sì. E non vi so dire quando accadono.

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