Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in visita di Stato in Olanda, ha tenuto all'House of Government di Maastricht un discorso sul futuro dell'Europa in occasione del 30° anniversario del Trattato firmato a suo tempo in quella stessa città.
Dopo aver ripercorso i passi che hanno progressivamente portato alla costruzione dell'Ue, Mattarella ha detto che
"se oggi possiamo guardare agli orizzonti della cittadinanza europea, della moneta unica, di una politica estera e di sicurezza comune, di cooperazione nel settore della giustizia e degli affari interni, lo possiamo fare perché siamo debitori a Maastricht, a quel Trattato che consentì di trasformare il processo comunitario in un'Unione politica, capace di proiettarsi oltre un'integrazione meramente economica e commerciale.
Una pietra miliare, l'atto di nascita di quello che un sincero europeista del mio Paese, il Presidente David Sassoli, chiamava “un nuovo progetto di speranza”, basato sull'aspirazione a “una unione sempre più stretta”, come dicono i Trattati.
Il contesto internazionale, ancora una volta, è determinante, e ci interroga in profondità.
Non si può fare a meno di chiedersi quali prospettive immaginiamo per la nostra Unione, per i popoli d'Europa.
Gli appuntamenti con la storia non possono essere evasi.
Abbiamo il dovere di domandarci se siamo stati all'altezza delle prove che l'Unione Europea ha incontrato sul suo cammino.
In cosa e quando abbiamo sbagliato?
Siamo stati poco disponibili, avari nell'impegno?
Abbiamo osato troppo poco?
Rischiamo di andare indietro, di ridimensionare le nostre ambizioni ben oltre quello che la crescita di altre aree sta naturalmente determinando?
Ancora, cosa vogliamo fare di noi stessi, di noi europei?
Quali traguardi ci suggerisce la civiltà di cui siamo orgogliosi portatori e testimoni?
Come trent'anni addietro, in realtà, ci è richiesto un salto di qualità.
Abbiamo bisogno oggi di scelte coraggiose e lungimiranti. Rinunciarvi significherebbe evadere dalle nostre responsabilità; rassegnarci all'irrilevanza.
Occorre compiere queste scelte e individuare strumenti adeguati.
L'entrata in vigore del Trattato di Maastricht è stato senz'altro uno dei momenti più stimolanti della nostra storia recente.
Non possiamo però omettere di ricordare come, già all'epoca, si manifestò nel dibattito pubblico, forse per la prima volta, l'euroscetticismo latente in alcuni Stati Membri circa la validità del percorso di integrazione intrapreso.
Il Regno Unito scelse, in quell'occasione, di restare fuori dall'Unione monetaria e di non sottoscrivere l'Accordo sulla Politica Sociale; la vittoria del “no” al referendum danese portò a un nuovo negoziato e alla previsione di eccezioni anche per Copenaghen.
Ma l'Unione andò avanti nella traiettoria decisa. Parliamo dell'altro ieri. Tanto il contesto in cui ci muoviamo oggi è mutato.
Esistono comunque nessi storici tra i dibattiti che hanno accompagnato il trattato di Maastricht e quelli in corso attualmente.
La tensione verso un'Europa degli Stati o un'Europa dei cittadini è sempre stata tra le principali chiavi di lettura del complesso percorso europeo.
L'approdo sin qui raggiunto è un ibrido che raccoglie insieme elementi del sistema intergovernativo ed elementi di sovrannazionalità.
Basti pensare al rapporto diretto che hanno i cittadini europei con l'elezione del loro Parlamento Europeo, al diritto di iniziativa legislativa di cui godono nel sollecitare la Commissione Europea ad avanzare proposte per l'attuazione dei Trattati, alla legislazione europea direttamente applicabile nei contesti nazionali.
Del resto è principio fondamentale che la sovranità appartenga ai cittadini.
La cooperazione intergovernativa - che a lungo, da più parti, è stata ritenuta l'ambito in cui poter meglio garantire interessi definiti “nazionali” - sovente è stata frutto semplicemente dell'attardarsi dei rispettivi apparati produttivi nel progettare il futuro; frutto di uno sguardo rivolto al passato, di una visione statica, anziché dinamica della crescita delle società civili che, nel frattempo, si sono sviluppate in senso europeo.
È una visione che richiede di essere aggiornata: le nazioni che compongono l'Unione vivono nella pluralità istituzionale e multiculturale dell'Europa, che le riconosce e le sa valorizzare.
Certo, tutto si può smontare - come la Brexit conferma - ma davvero possiamo intendere di proporre ai nostri popoli il ritorno a un passato che non c'è più?
In un mondo sempre più interconnesso e caratterizzato da grandi soggetti internazionali?
Le istituzioni sono figlie del tempo in cui operano, e lo riflettono.
Siamo riusciti, negli anni, nell'impresa di costruire un sistema democratico multilivello, sia pure imperfetto in cui, in Europa, i cittadini sono, nel contempo, cittadini di uno Stato e cittadini dell'Unione, legittimando, con il loro voto e la loro partecipazione, le pubbliche istituzioni. La Carta dei diritti fondamentali, vincolante ormai dal 2009, con il Trattato di Lisbona, lo afferma solennemente.
Nessuno può ormai mettere in dubbio che esista un interesse europeo, dei cittadini europei in quanto tali; interesse che trascende, fonde e accorpa gli interessi nazionali.
È un fatto e l'agenda dei fatti, facendo irruzione sull'agenda politica, ne determina priorità e sensibilità.
Avvenne così nel 1977 quando il presidente della Commissione Europea, Roy Jenkins, un britannico, fu posto nella condizione di rilanciare l'Unione monetaria dopo che gli accordi della Giamaica, l'anno precedente, abbandonando i cambi fissi, avevano assunto di fatto il dollaro come riferimento monetario in luogo dell'oro. E nel 1979 venne varato lo Sme, il Sistema monetario europeo.
È stato così quando la pandemia ha vulnerato molti dei nostri Paesi, ponendo a rischio la vita delle popolazioni, alterando le catene di valore, interrompendo normali flussi produttivi: l'Unione Europea, sollecitata su un tema come quello della salute, non di sua immediata competenza, è stata capace di intervenire con efficacia.
In altri termini, le istituzioni rispondono e si modellano sulle esigenze che si manifestano e sulla intelligenza di sapervi corrispondere.
Eppure non possiamo contentarci di soluzioni sollecitate da singoli eventi, quasi occasionalmente, in una congiuntura in cui la pace e, dunque, la vita dei nostri popoli, l'avvenire dei nostri giovani, sono così pesantemente a rischio,
Non possiamo ignorare che si registra sovente un sentimento di distanza dalle istituzioni avvertito dai cittadini e che vi va posto rimedio, giacché le ragioni alla base della costruzione europea, valide nel secondo dopoguerra, sono oggi altrettanto attuali.
Nessuno potrebbe sorprendersi di fronte all'affermazione che l'Unione Europea non è perfetta.
Da settant'anni è un cantiere permanente, da alimentare ogni giorno grazie al contributo di tutti.
Le inquietudini, le impazienze circa le insufficienze della costruzione europea, piuttosto che produrre sconforto e paralisi devono sospingere a migliorare, ad adeguare ai tempi il processo di integrazione.
Siamo in una fase costituente dopo la Conferenza sul futuro dell'Europa, momento di alta partecipazione della generalità della popolazione europea alla costruzione dell'Unione che verrà.
Il Parlamento Europeo e la Commissione hanno sviluppato gli spunti emersi dalla Conferenza.
I cittadini europei si attendono un'Unione più efficiente, coesa, solidale e rappresentativa. Una vera casa comune. Un'Unione a misura di azioni e di interazioni più efficaci anche nei confronti del resto del mondo.
Se tutti daremo prova di senso di responsabilità, capacità di visione, di rispetto e di lealtà reciproca, aumenteremo il senso di appartenenza nell'Unione.
Senza avere la pretesa di essere esaustivo, credo che tale sforzo possa essere utilmente indirizzato avendo presente quattro dimensioni fondamentali: l'adesione ai valori comuni; la garanzia della nostra sicurezza e della stabilità del Continente; il ripensamento della politica energetica; il completamento dell'Unione Europea con i processi di adesione.
In primo luogo, approfondire la comune adesione ai valori e ai principi che ci ispirano, incentrati e incardinati in un sistema giuridico coerente, fondato sullo Stato di diritto. Insieme formiamo una comunità di diritto, assistita dal principio di primazia della normativa comunemente decisa in sede europea su quelle nazionali, in un dialogo strutturato e costante tra la Corte di Giustizia e le Corti degli Stati Membri per una tutela giurisprudenziale uniforme, a garanzia di cittadini e imprese, da Atene a Dublino, da Helsinki a Lisbona.
In secondo luogo, dobbiamo proseguire in una riflessione rigorosa sugli strumenti a nostra disposizione per garantire sicurezza e stabilità al nostro Continente.
Cioè, in altre parole, identificare obiettivi comuni di politica estera e di difesa che rendano concreta la prospettiva di un'autonomia strategica dell'Unione Europea.
Induce al rammarico pensare che il Consiglio Europeo di Helsinki, nel dicembre 1999, aveva già deciso di dotarsi di una forza militare a livello di Corpo d'Armata (50-60.000 unità), quale strumento a disposizione per gestire le crisi, a supporto della Politica estera e di sicurezza comune.
L'autonomia strategica è base necessaria di quella sovranità comune che ho richiamato poc'anzi e che rappresenta il presidio della nostra libertà e dei nostri valori: pace, democrazia, solidarietà. Tanto più oggi, di fronte alla grave crisi di sicurezza che l'Europa sta attraversando.
Cruciale per la stabilità e per la prosperità dell'Unione Europea è anche la stabilità e la prosperità del nostro vicinato meridionale. L'interdipendenza esistente tra le due sponde del Mediterraneo rende urgenti gli investimenti in termini di attenzione politica verso la Sponda Sud.
La risposta alla stessa sfida migratoria, infatti, avrà successo soltanto se sorretta dai criteri di solidarietà all'interno dell'Unione e di coesione nella risposta esterna e da una politica lungimirante nei confronti della regione africana.
A parte i profili etici penso che sia bene tener presente che tra pochi decenni il rapporto di popolazione tra Africa e Unione Europea sarà di quattro a uno e i Paesi di quel Continente, dotati di una grande quantità di materie prime di immenso valore, una volta sviluppata un'adeguata capacità organizzativa, rivestiranno peso e influenza nella comunità internazionale.
Non è improprio pensare che il loro atteggiamento nei confronti dell'Unione sarà corrispondente al grado di solidarietà che oggi viene riservata a loro e ai loro migranti.
Mentre intensifichiamo il dialogo con i Paesi terzi di origine e transito dei migranti, dobbiamo lavorare affinché i principi di coordinamento e di responsabilità condivisa tra Stati Membri guidino la risposta comune a un fenomeno determinante per le nostre stesse prospettive di crescita.
Tutto questo sollecita ancor di più l'intera comunità internazionale e, appunto, per quanto ci riguarda da vicino, l'Unione, a raggiungere intese efficaci e rispettose dei diritti di ciascuno. Così si progetta un futuro condiviso.
In terzo luogo, occorre ripensare le scelte di politica energetica.
Sarebbe inutile elencare in dettaglio fragilità europee che questi mesi di guerra hanno abbondantemente evidenziato, con gravissime conseguenze economiche e sociali per i nostri popoli.
Non è il momento delle esitazioni né delle scelte egoistiche. Al contrario, i bisogni cui far fronte sono tali da richiedere coraggio e determinazione. Vanno nella giusta direzione i progressi compiuti nelle ultime settimane, a cominciare dalla decisione di definire un tetto al prezzo del gas, cosa che ha già contribuito alla discesa dei prezzi dell'energia.
Al contempo, ripensare la politica energetica dell'Unione significa stimolare la ricerca di nuove fonti e di nuovi approvvigionamenti in linea con i nostri valori, con i nostri interessi, con le scelte già compiute nell'ambito del Green Deal e con i nostri obiettivi di politica estera.
L'Unione è stata una formidabile piattaforma che ha diffuso stabilità e valori intorno a sé, realizzando il principio di non avere nemici alle proprie frontiere.
Se non lo facessimo, se non garantissimo continuità e credibilità alla politica di cooperazione, se non procedessimo a completare il disegno di allargamento dell'Unione – dall'Ucraina ai Balcani occidentali, cui abbiamo promesso l'adesione nel lontano 2003 - lasceremmo vuoti destinati a essere colmati da altri attori, espressione di valori e interessi diversi dai nostri.
Si tratta di un “investimento geo-strategico” i cui vantaggi sono infinitamente superiori ai grandi svantaggi prodotti da un'Unione chiusa in se stessa, incapace di contribuire a definire obiettivi globali e di creare intese con i vicini.
... Maastricht è un esempio di successo, testimonia che il negoziato e il compromesso non sono esercizi “al ribasso”, bensì processi in grado di giungere a soluzioni creative e innovative, a beneficio di tutti gli attori che si impegnano con onesta determinazione sia a sostenere la propria visione sia all'ascolto di quelle degli altri.
Più volte, anche negli ultimi anni, i leader europei, posti di fronte a una crisi esistenziale per l'Unione, hanno dimostrato di essere all'altezza.
Non dubito che anche negli anni a venire i nostri due Paesi, insieme agli altri Stati Membri e ai Paesi candidati a diventarlo, sapranno offrire all'Europa prospettive alte e ambiziose, trovando ispirazione nel clima che qui animò le discussioni per giungere al Trattato".
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