La recente chiusura della Conferenza ONU sugli Oceani a Nizza ha segnato l'ennesima occasione mancata per l'entrata in vigore del trattato internazionale sulla biodiversità marina oltre la giurisdizione nazionale (BBNJ, Biodiversity Beyond National Jurisdiction). Nonostante gli auspici della vigilia, il processo di ratifica si è fermato a 50 Stati firmatari, ben al di sotto dei 60 richiesti per l'attivazione del trattato.


Il mancato contributo dell'Italia

Particolarmente criticabile la posizione dell'Italia: ad aprile 2024 il governo italiano aveva dichiarato pubblicamente l'intenzione di procedere a una “rapida ratifica, approvazione, accettazione e adesione” dell'accordo. A distanza di quattordici mesi, l'impegno resta inattuato. Diversi Paesi europei, tra cui Francia, Spagna, Portogallo, Slovenia, Albania, Croazia e Grecia, hanno già formalizzato la ratifica, collocandosi in una posizione di leadership nelle politiche globali di governance degli oceani. L'inazione italiana contribuisce a rallentare un percorso multilaterale già di per sé complesso e frammentato.


I nodi critici: governance delle risorse e tutela degli ecosistemi

Il trattato BBNJ rappresenta uno strumento giuridico fondamentale per colmare le lacune normative relative alle aree marine al di fuori delle giurisdizioni nazionali, che costituiscono circa i due terzi degli oceani del pianeta. Queste aree ospitano ecosistemi strategici per la regolazione climatica globale e per la tutela della biodiversità marina.

Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia, ha richiamato l'attenzione sull'urgenza di una pesca artigianale e sostenibile, in grado di preservare gli stock ittici e limitare gli impatti antropici sugli habitat marini. La pesca industriale intensiva — in particolare la pratica dello strascico — continua invece a compromettere la resilienza degli ecosistemi acquatici. Ogni ritardo normativo, sottolinea Nappini, rappresenta un deficit di governance e di credibilità politica.

Secondo il recente rapporto FAO The State of World Fisheries and Aquaculture 2024, oltre il 35% degli stock ittici globali è attualmente sovrasfruttato, con un incremento annuo pari a circa l'1%. L'indebolimento degli stock non è limitato agli oceani remoti ma riguarda anche il bacino del Mediterraneo, aggravato da fenomeni di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (IUU fishing), che sfuggono ai controlli e alle normative vigenti.


Gli oceani come infrastruttura planetaria

Oltre al ruolo alimentare, i sistemi marini forniscono servizi ecosistemici irrinunciabili: assorbimento di anidride carbonica, produzione di ossigeno, regolazione termica globale, stabilizzazione delle coste, conservazione della biodiversità genetica. In questo contesto, la mancata attuazione di un trattato vincolante espone gli oceani a rischi crescenti legati al prelievo minerario dei fondali, alle trivellazioni offshore e all'inquinamento da macro- e microplastiche.

La governance oceanica richiede strumenti multilivello e un approccio integrato. La "Coalizione Ocean Rise & Coastal Resilience", presieduta dal sindaco di Nizza Christian Estrosi, rappresenta un esempio di cooperazione substatale volto ad affrontare le conseguenze dell'innalzamento del livello del mare e dell'erosione costiera, con impatti su oltre 2,5 miliardi di persone che vivono a meno di 100 km dalle coste, e 600 milioni che risiedono sotto i 10 metri di altitudine.


Buone pratiche e iniziative locali

In Italia, alcune iniziative bottom-up stanno supplendo, almeno parzialmente, alle carenze del quadro normativo internazionale. A Taranto, la manifestazione "Mediterraneo Slow" promuove una cultura della sostenibilità marino-costiera attraverso conferenze, attività educative, laboratori gastronomici e un mercato del cibo sostenibile. Analogamente, il recente evento "Slow Fish 2025" a Genova ha posto al centro il ricambio generazionale nella pesca, il sovrasfruttamento degli stock, l'inquinamento marino e l'urgenza di una pianificazione spaziale marina coerente con la transizione ecologica.

La mancata entrata in vigore del trattato BBNJ testimonia la fragilità delle dinamiche multilaterali sulla governance degli oceani. La finestra temporale per un intervento efficace si sta progressivamente chiudendo, mentre la pressione antropica continua a erodere la capacità rigenerativa degli ecosistemi marini.

L'Italia, come membro del G7 e dell'UE, ha una responsabilità diretta nel contribuire al rafforzamento della governance oceanica globale. Ogni ulteriore ritardo mina non solo la credibilità internazionale, ma anche la sicurezza alimentare, climatica ed ecologica delle future generazioni.