Sembra che il film "Dunkirk" di Christofer Nolan stia avendo un discreto successo tra il pubblico delle multisale dei grandi centri commerciali.

L'Italia contemporanea continua per me ad essere un mistero affascinante. Cosa questa opera straordinaria, tutta basata sull'eroismo nella sconfitta e sulla sopravvivenza per ritornare a combattere contro un nemico feroce e implacabile, possa dire a quei giovani italiani tatuati e viziati, adepti del successo facile "tutto e subito" che in genere affollano quelle sale, rimane per me insondabile.

Sono certo accomunati ai protagonisti del film dalla giovinezza. Ma li vedo, mentre si ingozzano di popcorn, distanti anni luce da quel piccolo mondo di disciplina, di paura mista a caparbietà, di fiducia nelle élites che si sforzano di riportarli a casa.

Ma il vero miracolo di Dunkerque fu il contributo di centinaia di piccole imbarcazioni private che accorsero dall'altra parte della Manica per dare una mano, che si rivelò determinante, all'evacuazione sino al limite della battigia.

Senso dell'unità del paese, della patria in pericolo mortale? Virtù ormai rarissime, forse anche nel Regno Unito, ma che hanno consentito a tutti noi europei di vivere in libertà per oltre 70 anni.

Certo gli inglesi sono stati, per tanto tempo, una palla al piede nel processo di integrazione europea. Resto però convinto che la loro partecipazione sia stato il tributo di riconoscenza che abbiamo dovuto pagare per avere nell'Unione europea quei testardi rompiscatole che non si sono mai arresi al nazismo.

Come sosteneva il più grande "Brit" del Novecento, Winston Churchill, "soldato sconfitto, buono per un'altra battaglia". Quale uomo politico contemporaneo, anche inglese, si sognerebbe di promettere ai suoi elettori un futuro di "sangue, fatica, lacrime e sudore"? Meglio le promesse irrealizzabili del populista di turno...