Dopo aver navigato su navi a vapore negli anni 60 e, in seguito, per altre attività che mi hanno portato in giro per il mondo, ho trascorso una larga parte della mia vita all'estero. Ad un certo punto ho deciso di ormeggiarmi a terra e stabilirmi in un piccolo villaggio di campagna. Così all'età di 76 anni ho cominciato a scrivere di fantascienza, richiamandomi al mio interesse per la storia dell'universo e l'astrofisica, che mi hanno sempre affascinato da curioso autodidatta.

Scrivo storie ambientate nel futuro ma con anche richiami al passato in quanto trovo spesso interessante confrontare idee e convinzioni antiche con quelle attuali e immaginando anche con quelle del futuro. Nel mio primo romanzo, la trilogia de La Saga della Fenice, immagino una misteriosa organizzazione sovranazionale, appunto La Fenice, che ha come scopo la riunificazione politica ed economica della Terra, per diffondere pace e benessere tra tutti gli abitanti del pianeta. Raggiunto il suo scopo sul pianeta attraverso varie e complicate vicende, questa organizzazione inizia la sua missione nello spazio per raggiungere tutte le diverse specie intelligenti presenti in mondi anche lontanissimi.

Quando si troverà di fronte una specie aliena di natura crudele e sanguinaria il cui scopo è quello di sottomettere tutte le altre specie esistenti per schiavizzarle e sfruttare le loro risorse, la poderosa flotta spaziale terrestre la combatte e la vince dopo una serie di scontri sanguinosi e spietati. 

Il tema della pace è il filo conduttore che permea tutta la trama e che pone un sommesso quesito:

è giusto sottomettere con la forza altri esseri che non vogliono la pace?

La risposta è umanamente semplice: bisogna trattare e convincere l'altro che raggiungere la pace è un vantaggio per tutti, che è bene vivere tutti in pace, e così via.

Ma quando ciò è assolutamente impossibile, poiché l'altro non vuole la pace ma vuole dominare e sottomettere ai suoi interessi tutti gli altri esseri, non ci sono alternative allo scontro e alla sua eliminazione. La pace è una cosa delicata e fragile che deve trovare tutti concordi sulla sua esistenza, poiché basta un gruppo di individui, anche piccolissimo, che le si opponga e la pace scompare nel nulla.

Nonostante l'orrore dei pacifisti a tutti i costi, non rimane quindi che procedere all'eliminazione dell'avversario bellicoso. Diventa, quindi, quasi un paradosso il fatto che bisogna uccidere per avere la pace.

Poco più di duemila anni fa, un Impero ha combattuto e massacrato intere popolazioni in Europa per imporre la Pax Romana e ci è riuscito per diversi secoli insanguinando il continente. Ma assieme al sangue è riuscito a far scorrere anche altro che è rimasto nel tempo ed è ora condiviso dagli abitanti di mezzo pianeta. Il seme della pace non ha attecchito del tutto ma i semi della civiltà, della cultura e del diritto sì.

Nell'arco della storia dell'uomo ci sono stati molti imperi anche molto più estesi e duraturi di Roma, ma un impero non dovrebbe essere giudicato per la sua estensione o per la sua durata. Poiché prima o poi tutti gli imperi cadono, il suo valore va misurato per quello che lascia nella storia del genere umano dopo la sua caduta. Dal sangue fatto scorrere dall'Impero Romano è nata la nostra civiltà, la nostra cultura e il nostro diritto. Nessun altro impero ha mai fatto lo stesso su questo pianeta.

Sto scrivendo in questi giorni un nuovo romanzo, Roma, incontro con un impero, nella cui trama esiste, sottovoce, la stessa domanda: è giusto imporre la pace quando non esistono altre alternative?

Una evoluta e pacifica specie aliena, che aborre la violenza e le armi, si incontra sulla Terra con un orgoglioso Impero in piena espansione, che impone la pace con le armi. La conclusione sembra scontata...