Mediterranean Hope è un progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), finanziato in larga parte dall'otto per mille della Chiesa evangelica valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi.

Dal punto di vista pratico, Mediterranean Hope è attiva a Lampedusa dal 2014 con compiti di primissima accoglienza, mediazione e ricerca, ha una struttura di accoglienza a Scicli ed ha avviato l'iniziativa dei Corridoi Umanitari a cui collaborano la Federazione delle chiese evangeliche in Italia, la Tavola valdese e la Comunità di Sant'Egidio.

Mercoledì Mediterranean Hope ha comunicato di esser stata contattata dai familiari di persone attualmente disperse, cosa che fa temere il probabile naufragio di un'altra imbarcazione nel Mediterraneo. Si tratterebbe di un gommone su cui viaggiavano 95 persone, partito il 21 dicembre dal porto di Zuwara, ad ovest di Tripoli. Tra i passeggeri, quasi tutti provenienti dall'Eritrea, anche 20 donne e 5 bambini.

«Di questa imbarcazione – ha dichiarato Alberto Mallardo, operatore del programma rifugiati e migranti della FCEI, Mediterranean Hope (MH) a Lampedusa – non si sa più nulla. Lo abbiamo saputo dalle ricerche disperate di alcune persone che non sanno come rintracciare parenti e amici partiti e spariti nel nulla.

Il problema è proprio questo: a chi chiedere informazioni? I superstiti, i parenti di chi parte, e anche noi come operatori sappiamo di non avere un interlocutore affidabile, che ci possa dare risposte certe.

La Libia non è un luogo sicuro. Non solo le persone non vengono soccorse, ma siamo di fronte anche a casi come questo che ci è appena stato riportato e che dimostrerebbe che altre persone sono morte, nell'indifferenza dei governi europei.»


Mediterranean Hope collabora con la Ong spagnola Pro Activa Open Arms per quanto riguarda gli interventi di ricerca e soccorso in mare. Queste le parole di Riccardo Gatti, Comandante Astral e Capo Missione Open Arms: «È finalmente chiaro a tutti che la sedicente guardia costiera libica non esiste. Si tratta di milizie armate che non solo violano i diritti delle persone ma non hanno alcuna competenza per portarle in salvo.

Fermare le navi delle ONG significa lasciare morire uomini, donne e bambini senza che ci siano testimoni a denunciarlo.»