La vicenda di Salvini, per cui il tribunale dei ministri di Catania ha chiesto che venga rinviato a giudizio, non mancherà di far discutere, anche in futuro. Ad oggi, la propaganda leghista e l'occasione da parte di alcuni per mettersi in mostra nei confronti di chi comanda hanno descritto la vicenda Diciotti ed il rinvio a giudizio di Salvini utilizzando la solita barzelletta dei giudici che fanno politica e che, tramite il loro potere, vogliono "far fuori", politicamente, Matteo Salvini.

Una tesi ridicola, in base alla quale la scelta di Salvini di prendere in ostaggio delle persone, impedendone lo sbarco, sia stata giustificata dal suo ruolo istituzionale e dalla decisione politica che ne è conseguita. Chi sostiene questa tesi sembra non rendersi conto della sua implicita bestialità. Infatti, se un governo dovesse giustificare le proprie azioni in base alle convenienze politiche finirebbe, ovviamente e paradossalmente, per essere al di là della legge che invece dovrebbe rispettare. Un governo ed i suoi ministri possono agire in base alla legge vigente. Se ritengono che possa limitarne le decisioni, hanno tutti gli strumenti per cambiarla e poi agire di conseguenza.

Salvini non lo ha capito e i giudici glielo hanno fatto notare dicendo al Parlamento, in questo caso al Senato, che esistono gli estremi tecnici, e non politici, perché venga rinviato a giudizio.

La propaganda anti migranti, per le necessità politiche dell'alleanza di governo, ha coinvolto anche i 5 Stelle. La decisione dei giudici di Catania richiede che il Senato si esprima sul fatto che Salvini possa o meno essere processato. Nella trasmissione televisiva Piazzapulita, il 5 Stelle Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, ha fatto capire che i senatori del suo gruppo voteranno contro la richiesta del rinvio a giudizio, motivandola con il fatto che tutto il Governo, componente pentastellata inclusa, ha supportato la decisione di Salvini di trattenere i migranti a bordo della Diciotti. Una dichiarazione alquanto impegnativa, ma tecnicamente non convincente, anche in relazione a quanto sostiene lo stesso Movimento 5 Stelle.

Nell'ultimo regolamento da loro redatto, un 5 Stelle che ricopre un incarico pubblico e venga indagato dalla magistratura non deve dimettersi, a meno che non venga giudicato colpevole alla fine di un processo, seppure di primo grado. Quindi, i 5 Stelle dell'onestà, onestà... dicono nel loro regolamento di voler rimandare ai giudici qualsiasi decisione riguardo al fatto che un loro attivista (anche se ricopra un incarico pubblico) si sia comportato correttamente o meno in base alla legge vigente.

Adesso, a quanto pare, per Salvini - che per loro, a quanto dicono, è pure un avversario politico - tale regola non vale, giudicando le sue decisioni insindacabili e corrette a prescindere, al di là della legge.

Sarà questo un argomento che, prima o poi, anche la base elettorale pentastellata finirà per dover valutare. Quindi, il voto al Senato sulla processabilità o meno di Salvini finirà per diventare un problema politico, non di poco conto.