Come era ampiamente prevedibile, l’accozzaglia elettorale creata con enorme fatica dal segretario del Pd Enrico Letta perde i primi pezzi, dopo che Carlo Calenda ha deciso di salutare il Pd e il suo variopinto cartello elettorale che, parole dello stesso segretario dem, era nato solo per impedire al centrodestra di vincere e non per governare.

Almeno bisogna riconoscere ad Enrico Letta una chiarezza ed una sincerità, che non è certo scontata in politica. La paura che al governo potessero andare Meloni, Berlusconi e Salvini ha fatto novanta ed ha imposto a partiti che non hanno quasi nulla in comune di cercare un'alleanza elettorale che potesse in qualche modo stravolgere un quadro che sembra propendere sempre più per un trionfo del centrodestra.

Mettere insieme Azione di Calenda con Fratoianni, Bonelli e Di Maio era davvero una operazione che pareva destinata a fallire miseramente ancora prima che potesse prendere forma, come puntualmente è avvenuto. A confronto, la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto del 1994, pare una granitica coalizione con idee e punti comuni forti.

Per alcuni lo strappo di Calenda per assurdo potrebbe essere anche un relativo vantaggio per il Pd, che diventerebbe in questo scenario di prevalenza del centrodestra, unico argine contro di esso e quindi magari ottenere un exploit di voti e raggiungere il primato tra i partiti.

Ma anche lo stesso Calenda da questo strappo potrebbe avere i suoi vantaggi, sempre relativi, e cercare di strappare voti al centro sia al Pd che al centrodestra e puntare ad una crescita esponenziale dei suoi consensi.

In altre parole, sia Letta che Calenda, paradossalmente, già consapevoli di una sconfitta quasi certa (dalle parti del centrodestra è lecito fare tutti gli scongiuri del caso, perché in politica non si sa mai) abbiano lavorato per arrivare alla fine a trovare il casus belli per rompere, senza dovere essere accusati di esserne stati la causa.

Troppo diversi tra di loro troppo forte la personalità di Calenda per poter accettare di essere comunque il secondo (non bisogna dimenticare che qualche giorno fa si è autoproposto come futuro premier in caso di vittoria del centrosinistra) in qualsiasi coalizione. Certo è che il centrodestra con tutti i suoi distinguo, che sono anche il sale di ogni coalizione, sono ormai arrivati ai dettagli del loro programma per un futuro governo, mentre nel centrosinistra come in un gioco dell’oca sono tornati praticamente al punto di partenza.

Adesso si vedrà quali saranno le prossime mosse di Enrico Letta che a questo punto vede il suo progetto naufragare e che non resta altro che farsi paladino del solito refrain di rappresentante una specie di riedizione del Comitato di Liberazione, ben impresso nella testa del Pd, che a questo punto dimostra di essere assai più nostalgico, dei quattro imbecilli che inneggiano ancora al ventennio e che qualcuno continua ad accostare a sproposito alla Meloni e al suo partito.

Alla sinistra non rimangono altre proposte che quella di puntare sull’antifascismo, e sulla sacralità di una costituzione, sulla cui modifica in alcuni punti si sta discutendo anche a sinistra da oltre trent'anni. Forse se invece di continuare di gridare al pericolo fascista, si pensasse  maggiormente ai reali problemi degli italiani, non si dovrebbe cercare improbabili cartelli elettorali per puntare alla non vittoria dell’avversario, con buona pace della democrazia e dell'alternanza del potere, che è sancita da quella costituzione che la sinistra dice di voler difendere a spada tratta, ma forse solo nei punti che maggiormente gli fanno comodo.