Michael Moore, sì proprio lui, il regista vincitore della Palma d'Oro a Cannes con il documentario Fahrenheit 9/11, si è rivelato anche bravo nel fare previsioni nell'ambito della politica. Già l'estate scorsa, quando nessuno ancora avrebbe scommesso un centesimo sul miliardario di Manhattan, aveva indovinato che Donald Trump sarebbe diventato il candidato repubblicano alla Casa Bianca.

Forte di questo precedente, il buon Moore ha deciso di cimentarsi ancora nell'impresa e di formularne un'altra di previsioni. E quello che ha predetto non si discosta molto da un vero e proprio scenario da incubo: "Trump, presidente degli Stati Uniti". Una frase che lo stesso Moore ha quasi il terrore di pronunciare.

Purtroppo, la sua non è una previsione buttata lì giusto per creare scompiglio, per diffondere la paura fra gli elettori democratici e indurli a votare il male minore, che, in questa tornata elettorale, porta il nome di Hillary Clinton.

A sostegno della prevedibile elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, Moore porta cinque motivi, che non manca di illustrarci in modo molto articolato, tanto che alla fine non possiamo fare a meno di dargli ragione. Vediamoli in dettaglio


Il voto della classe operaia
Nonostante le molte serie trasmesse in televisione tentino di convincerci che gli Stati Uniti sono un paese popolato quasi esclusivamente da avvocati, manager e detective, oltre a pochi sfortunati, che lavorano temporaneamente in qualche catena di fast-food in attesa di cogliere una delle "equal opportunities", gli operai esistono ancora.

Chiamati anche blue-collar, sono concentrati prevalentemente in quelli che altro non potevano essere definiti se non blue states: Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin. Fanno parte della cosiddetta Rust Belt, un neologismo (Cintura della Ruggine) coniato proprio per indicare un'area un tempo caratterizzata da una forte industrializzazione, che a partire dalla seconda metà del secolo scorso ha registrato un inarrestabile declino.

Le cause sono da ricercarsi soprattutto nei trattati per il libero scambio, cha hanno consentito a molte industrie manifatturiere di delocalizzare la produzione in aree in grado di fornire manodopera a basso costo. Così, grazie al NAFTA (North American Free Trade Agreement) molte si sono trasferite in Messico e, grazie al TPP (Trans-Pacific Partnership), le aziende di Silicon Valley, Apple in testa, possono produrre in Estremo Oriente i loro gadget tecnologici.

Ora se un candidato alla Casa Bianca va in questi stati e propone di applicare un dazio del 35% alle auto prodotte in Messico e dice che obbligherà la Apple a smettere di produrre i suoi iPhone in Cina, le probabilità che venga votato sono molte.

E questo è esattamente quello che ha fatto Trump durante le primarie, davanti ad una fabbrica della Ford in Michigan, dove ha sconfitto il candidato di casa, il governatore John Kasich.

Moore ricorda che nel 2012, il rivale di Obama, Mitt Romney, fu sconfitto per 64 voti elettorali (ogni stato ha un pacchetto di voti che viene assegnato in base a chi ottiene la maggioranza dei consensi degli elettori), proprio il totale di quelli di Michigan, Ohio, Pennsylvania e Wisconsin.

Per Trump potrebbe essere un'impresa tutt'altro che impossibile quella di vincere in questi stati, tradizionalmente a maggioranza democratica. Del resto i sondaggi lo danno già in testa in Pennsylvania e in Ohio la Clinton non va oltre un pareggio.


Una questione di genere
Moore sospetta anche che una buona fetta di americani, soprattutto i maschi bianchi, sia stanca di aver avuto per otto anni un presidente di colore e non abbia nessuna intenzione di mettere al posto di comando una donna per i prossimi otto.

Andando avanti di questo passo, la prossima volta toccherà ad un gay e dopo di lui ci sarà un transgender e, dopo ancora, saranno concessi i diritti umani anche agli animali e magari a guidare l'America sarà un criceto. Così ci presenta la cosa Michael Moore, attingendo al suo lato comico.


L'antipatia di Hillary
Hillary Clinton non gode di una grossa popolarità. Il 70% degli americani la considera inaffidabile e disonesta. Viene vista come l'incarnazione della vecchia politica, quella per cui si fa di tutto per essere eletti, quella per cui conta solo il potere. E' incapace di suscitare entusiasmi, come al contrario lo è stato Bernie Sanders durante le primarie. Chi la voterà, se la voterà, lo farà con un certo distacco, soprattutto le donne giovani, quelle che la amano meno.


I sostenitori delusi di Sanders
Come testimoniano i sondaggi, buona parte quanti hanno votato Bernie Sanders nelle primarie l'8 novembre prossimo daranno il loro voto a Hillary Clinton, ma lo faranno con poca convinzione.

A spingerli verso questa decisione, molto contribuirà lo spettro di una possibile vittoria di Trump, non altro. Così su di loro non si potrà contare molto durante la campagna elettorale. Non avranno né voglia né entusiasmo per andare porta a porta a convincere gli elettori a votare per il candidato democratico o per sollevare il telefono, per spiegare perché l'ex-first lady sia la scelta migliore.


Quel pizzico di anarchia in ognuno di noi
Da una buona parte dell'elettorato, Trump viene concepito come l'intruso, l'uomo sbagliato nel posto sbagliato, uno che non potrà mai fare il presidente. E' assurdo solo pensarlo. Tuttavia ...

Secondo Moore, e non ha tutti i torti, una volta in cabina elettorale, capita che in molti si risvegli l'anarchico che è in loro. Consapevoli di disporre finalmente di un potere che permette di incidere sulla società e insoddisfatti della attuale classe politica, decidono di creare dello scompiglio e la candidatura di Trump ne offre loro l'opportunità. Altre volte avrebbero scritto un nome a caso sulla scheda, magari uno che avrebbe suscitato qualche ironia, questa volta scriveranno Trump.

Moore lo chiama l'effetto Jesse Ventura, ricordando il professionista del wrestling eletto governatore del Minnesota negli anni 90. Il meccanismo che ne determinò l'elezione fu lo stesso.

Molti penseranno che Trump non diventerà mai presidente, che è un personaggio grottesco, che dice cose molto spesso senza senso, per poi rimangiarsele un'ora dopo. Basterà un po' di logica, basterà fare appello alla ragione degli elettori per sconfiggerlo.

Forse no. Come ci fa notare Michael Moore, i ben 16 rivali che ha sconfitto durante le primarie del partito Repubblicano le hanno provate tutte, inutilmente. Perché mai dovrebbe riuscirci la Clinton?