Il gabinetto di sicurezza israeliano si è riunito domenica 4 maggio per approvare un nuovo piano di offensiva militare nella Striscia di Gaza. La riunione, tenutasi a porte chiuse, è una svolta strategica dopo la ripresa delle ostilità del 18 marzo, seguite alla fine del cessate il fuoco durato due mesi.
Secondo un funzionario israeliano che ha parlato con la stampa lunedì mattina, i ministri hanno approvato all'unanimità il piano proposto dal capo di stato maggiore, tenente generale Eyal Zamir. Obiettivo dichiarato "sconfiggere Hamas e riportare a casa gli ostaggi". Il piano include operazioni su vasta scala: presa e mantenimento del controllo della Striscia, sfollamento forzato della popolazione palestinese verso sud, blocco della distribuzione di aiuti umanitari a Hamas e attacchi intensificati contro le infrastrutture del gruppo.
La prima fase prevede l'ampliamento della cosiddetta "zona cuscinetto" e la conquista di nuove aree. Ma l'attuazione del piano è stata momentaneamente rinviata: non inizierà prima della visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, prevista tra il 13 e il 16 maggio. Secondo un alto funzionario israeliano, questo periodo rappresenta "una finestra di opportunità" per negoziare un nuovo accordo.
Intanto, sul fronte politico interno, la destra israeliana mostra i muscoli. Il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha dichiarato apertamente che "Israele occuperà finalmente la Striscia di Gaza", sollevando critiche e preoccupazioni a livello internazionale. Nonostante il ritiro ufficiale da Gaza avvenuto nel 2005, l'ONU considera tuttora il territorio come "occupato", poiché Israele ne controlla confini, spazio aereo e coste.
Parallelamente all'annuncio, l'esercito israeliano ha richiamato decine di migliaia di riservisti. Il generale Zamir ha annunciato una pressione crescente "per riportare a casa la nostra gente e distruggere le infrastrutture di Hamas, sopra e sotto terra". Tuttavia, la strategia militare è sotto tiro da più fronti.
Finora, le azioni non sono riuscite a garantire il ritorno dei 59 detenuti nella Striscia (di cui si stima che solo siano vivi ). Il Forum delle Famiglie degli Ostaggi ha accusato il governo di anteporre "il controllo territoriale alla vita dei prigionieri", in contrasto – secondo i sondaggi – con la volontà del 70% della popolazione israeliana.
L'Unione Europea ha invitato Israele alla moderazione, preoccupata dalle "ulteriori sofferenze" che un'estensione dell'offensiva causerebbe alla popolazione palestinese. Da parte sua, Hamas – attraverso il portavoce Mahmoud Mardawi – ha ribadito che non accetterà compromessi: pretende un cessate il fuoco completo, il ritiro totale da Gaza, la ricostruzione del territorio e il rilascio reciproco dei prigionieri.
Anche i civili palestinesi resistono. Molti, già sfollati a sud in precedenza, rifiutano di abbandonare nuovamente le loro case. Nel frattempo, la crisi umanitaria si aggrava. Secondo le agenzie dell'ONU, le scorte di cibo stanno per esaurirsi, i panifici sono chiusi, e le cucine comunitarie potrebbero interrompere la distribuzione entro pochi giorni. Israele afferma che permetterà la distribuzione di aiuti "solo se Hamas non ne avrà il controllo". Ma l'Humanitarian Country Team avverte: il piano israeliano di concentrare la distribuzione in hub militari "viola i principi umanitari" e mette a rischio sia civili che operatori.
Dal 2 marzo, Israele ha interrotto completamente le forniture di aiuti, medicinali e attrezzature sanitarie a Gaza. Le Nazioni Unite denunciano che la popolazione, quasi interamente sfollata, è esposta al rischio concreto di fame, malattie e morte.
L'offensiva israeliana è la risposta all'attacco del 7 ottobre 2023, quando Hamas uccise circa 1.200 persone e prese in ostaggio 251 civili. Da allora, secondo il Ministero della Sanità di Gaza, i morti palestinesi superano i 52.500, di cui almeno 2.459 da quando l'offensiva è ripresa.