Maurizio Maggiani, autore tra l'altro de Il coraggio del pettirosso, qualche giorno fa aveva scritto sul Secolo XIX una lettera aperta indirizzata al Papa  per descrivere la propria vergogna nell'esser venuto a sapere dei crimini a danno degli immigrati commessi dall'azienda che stampa i suoi libri, come anche quelli di altri autori.  Immigrati costretti a lavorare con paghe da fame, senza orari e diritti, persino presi a calci e pugni.

Si tratta della vicenda di capolarato che ha visto protagonista Grafica Veneta che ha portato lo scrittore a chiedersi "se valga la pena di produrre belle e sagge opere, se per farlo abbiamo bisogno del lavoro degli schiavi".

Nella lettera del 1 agosto, Maggiani ha voluto condividere la vergogna provata rivolgendosi direttamente a Francesco  per una serie di ragioni, ma soprattutto spinto dal fatto di "non vedere nessuna altra autorità morale che oltre ad avere alta voce è disponibile ad ascoltare, a chiedersi prima di giudicare".

Papa Francesco gli ha risposto.

"Lei non pone una domanda oziosa, perché in gioco c'è la dignità delle persone, quella dignità che oggi viene troppo spesso e facilmente calpestata con il lavoro schiavo, nel silenzio complice e assordante di molti. Lo avevamo visto durante il lockdown, quando tanti di noi hanno scoperto che dietro il cibo che continuava ad arrivare sulle nostre tavole c'erano centinaia di migliaia di braccianti privi di diritti: invisibili e ultimi - benché primi! - gradini di una filiera che per procurare cibo privava molti del pane di un lavoro degno".

Associare questo tipo di infamia alla letteratura "è forse ancora più stridente", se quella che il Papa definisce "pane delle anime, espressione che eleva lo spirito umano", viene "ferita dalla voracità di uno sfruttamento che agisce nell'ombra, cancellando volti e nomi".

Ma "rinunciare alla bellezza sarebbe una ritirata a sua volta ingiusta, un'omissione di bene".

Che cosa fare, dunque?

"Denunciare" i "meccanismi di morte", le "strutture di peccato", arrivando a scrivere "cose anche scomode per scuotere dall'indifferenza, per stimolare le coscienze, inquietandole perché non si lascino anestetizzare dal non mi interessa, non è affare mio, cosa ci posso fare se il mondo va cosi".

"Rinunciare ... non alla letteratura e alla cultura, ma ad abitudini e vantaggi che, oggi dove tutto è collegato, scopriamo, per i meccanismi perversi dello sfruttamento, danneggiare la dignità di nostri fratelli e sorelle. È un segno potente rinunciare a posizioni e comodità per fare spazio a chi non ha spazio". Arrivare a "dire un no per un sì più grande", a fare "obiezione di coscienza per promuovere la dignità umana".

Papa Francesco ricorda la sua preferenza per Dostoevskij "non solo per la sua lettura profonda dell'animo umano e per il suo senso religioso, ma perché scelse dì raccontare vite povere, umiliate e offese".

E prendendo a prestito tale appiglio il Papa ha concluso la sua risposta con l'appello, davanti ai tanti umiliati e offesi di oggi senza che praticamente nessuno li renda "protagonisti, mentre soldi e interessi spadroneggiano", affinché la cultura non si lasci soggiogare dal mercato.