Nell'incontro avuto a inizio settimana alla Casa Bianca, con suo enorme disappunto, Netanyahu è venuto a sapere che gli Stati Uniti avrebbero avuto colloqui diretti con l'Iran. Una conferenza stampa congiunta tra il premier israeliano  e Trump è stata improvvisamente annullata e quando i due si sono presentati allo Studio Ovale per una sessione di domande e risposte con un gruppo ristretto di giornalisti, Netanyahu è rimasto "stranamente silenzioso", secondo quanto ha scritto il New York Times.

"Stiamo avendo colloqui diretti con l'Iran e sono già iniziati, continueranno sabato", ha affermato il presidente degli Stati Uniti, mentre il primo ministro israeliano ascoltava pensieroso. "Penso che tutti concordino sul fatto che raggiungere un accordo sarebbe preferibile piuttosto che fare altro. E altro non è qualcosa in cui voglio essere coinvolto", aveva spiegato Trump, riferendosi ai potenziali attacchi militari contro i siti iraniani, l'opzione preferita da Israele.

Il colpo deve essere stato duro per Netanyahu, che è tornato in Israele senza essere neppure riuscito a cancellare i dazi imposti al suo Paese: 

"Non dimenticate, aiutiamo molto Israele. Diamo a Israele 4 miliardi di dollari all'anno, è tanto", ha detto Trump nella stessa occasione.

Evidentemente, nelle ore successive le rispettive diplomazie devono essersi messe all'opera e così  mercoledì il presidente USA è tornato sull'argomento Iran dichiarando che Israele assumerà un ruolo guida in un eventuale attacco militare contro Teheran, insieme agli Stati Uniti, se i prossimi colloqui sul nucleare non avranno successo.

Questo fine settimana, in Oman, Stati Uniti e Iran si parleranno, ma non sarà un dialogo faccia a faccia. Infatti, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araqchi, ha ribadito che non ci sarà nessun negoziato diretto finché gli Stati Uniti manterranno la campagna di "massima pressione" e minacce militari. Lo ha dichiarato martedì ad Algeri, precisando però che la porta della diplomazia non è completamente chiusa.  

La presa di posizione iraniana arriva dopo mesi di attriti. Il 7 marzo, Trump aveva inviato una lettera all'Iran per riavviare i negoziati sul nucleare. Teheran aveva respinto l'offerta di dialoghi diretti a marzo, definendo le politiche USA "ostili e incoerenti", ma lasciando spazio a una mediazione tramite terzi. Le tensioni sono ulteriormente esplose nelle ultime settimane, soprattutto dopo le dichiarazioni di Trump, che ha minacciato "bombardamenti".

Nella sua dichiarazione rilasciata ad Algeri, Araqchi ha ribadito che l'Iran non cerca lo scontro armato, ma è pronto a reagire: "Non vogliamo la guerra, ma sappiamo difenderci bene. Gli americani lo sanno", ha detto, alludendo alle capacità militari del Paese. Sul fronte nucleare, ha inoltre chiarito che Teheran non intende sviluppare armi atomiche, bollando tali accuse come infondate: "Il nostro programma è pacifico. Siamo disponibili a chiarire ogni dubbio attraverso la diplomazia".  

C'è però da aggiungere un elemento che potrebbe non essere del tutto ininfluente nell'incontro in Oman. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha rivelato che il Leader Supremo, l'Ayatollah Seyyed Ali Khamenei, non ostacolerebbe l'ingresso di capitali statunitensi nell'economia nazionale.

Pezeshkian ha sottolineato che gli investitori "genuini" saranno ben accolti nel mercato iraniano, precisando che Teheran non intende isolarsi economicamente.

Il presidente iraniano ha poi confermato che i negoziati con gli Stati Uniti, in programma sabato, avverranno indirettamente tramite mediatori omaniti, con il ministro degli Esteri Araqchi alla guida della delegazione iraniana, che agirà in linea con le direttive del Leader Supremo.

Quale sarà il risultato dell'iniziativa è impossibile dirlo, ma quello che è certo è che Israele non apprezza, visto che la sopravvivenza politica di Netanyahu è collegata alla guerra perenne nella regione... per arrivare proprio ad un conflitto diretto con l'Iran, ritenuto l'unica minaccia all'espansionismo sionista.