L'immagine di copertine è una fotografia del Bombardamento del Palácio La Moneda, avvenuto l'11 de settembre de 1973, a Santiago, Chile (tratta dal sito: https://viajantesolo.com.br/)
Questa è la storia di un paese tormentato, che ha conosciuto le strade più tortuose e amare per giungere alla tanto agognata democrazia. Il Cile non è un paese di cui si parla spesso. Ma ci furono anni in cui era sulla cronaca dei giornali e quotidiani.
Oggi, l’11 settembre del 2023, si commemorano i 50 anni del colpo di stato con il bombardamento e l’assalto del palazzo presidenziale de La Moneda che, attuati dalla giunta militare sorretta dal Generale Augusto Pinochet, culminarono con la morte (il suicidio fu la versione ufficiale) del presidente democraticamente eletto, Salvador Allende. Proviamo ad immaginare lo shock che provarono i testimoni oculari di allora, nel vedere un caccia militare sorvolare alla velocità del suono il palazzo, per vedere subito dopo una gigantesca esplosione disintegrare un'intera ala della residenza. Oggi, possiamo dire che deve essere stato per loro un trauma simile a quello provato dai cittadini di New York l'11 settembre 2001. Le speranze di un intero popolo caddero assieme alla facciata della Moneda.
Allende, rappresentava per tutto il paese la speranza di un cambiamento di tipo progressista, in un contesto tradizionalmente conservatore, intriso di un capitalismo rapace e elitario. Il suo progetto rivoluzionario di unità politica per tutta la società cilena, era iniziato il il 4 settembre 1970 per interrompersi tragicamente e nel sangue solo tre anni dopo.
l’11 settembre sembra essere una data maledetta per l’accumularsi (per pura coincidenza o meno) di fatti epocali che hanno segnato la storia e le cronache.
Coincidenze a parte, il Golpe, cui seguì una feroce dittatura militare e poliziesca guidate dal nuovo Presidente il Generale Augusto Pinochet, avvenne in un clima di crescente frattura interna. Il paese era diviso tra conservatori, che rappresentavano per lo più i cileni di pura origine europea (spagnoli, italiani, inglesi, tedeschi ecc..), tradizionalmente invisi al cambiamento perché detentori di interessi economici e politici, e le altre fasce della società (operai, mondo rurale, minoranze etniche e movimenti giovanili studenteschi appartenenti alle classi sfavorite) che non avevano quasi mai goduto di privilegi o dei benefici a cascata che si sarebbero aspettati dal progressivo sviluppo economico del paese (divenuto l’economia trainante del Sudamerica). Gli esclusi, avevano in loro seno una buona parte di popolazione meticcia e gli amerindi, tra cui i Mapuche, da cui sembra derivi il nome stesso del paese, che significa in lingua mapuche “Terra alla fine del mondo“.
Non c’è mai stata una netta prevalenza dell’una o dell’altra parte, e proprio questo ha determinato un conflitto permanente nel paese con un graduale inasprirsi dei conflitti sociali e l’instabilità politica.
L’oligarchia economica del paese, l’esercito la parte più conservatrice dell'ambiente cattolico, temevano con Allende una deriva marxista sul modello castrista. Il progetto rivoluzionario di Allende, che era prima di tutto un democratico, non prevedeva l’uso della forza, né purghe ideologiche, né derive autoritarie, ma solo tutta una serie di riforme, alla misura della nuova democrazia, miranti a risolvere le immense disuguaglianze che rendevano impossibile l’accesso all’istruzione, alla giustizia, alla protezione sanitaria e a un sistema retributivo e pensionistico, ad una parte rilevante della popolazione. La propaganda della destra conservatrice, tuttavia, sfruttò la presunta deriva marxista che aleggiava come spauracchio nelle classi dominanti e nell’esercito, attuando una campagna di delegittimazione del governo.
La molla, furono alcune riforme sociali, suscettibili di rimettere in discussione i poteri delle caste. Allende, introdusse il congelamento dei prezzi, il rialzo dei salari, gli assegni familiari, la pensione a 60 anni, le cure mediche gratuite, la costruzione di nuovi alloggi, la riforma dell’istruzione, la nazionalizzazione dei settori chiave dell’economia (chimica, tessile e industria mineraria) e la riforma agraria che prevedeva, tra l’altro, la restituzione di terre alle comunità amerinde autoctone che erano state oggetto di espropriazione da parte di dei ricchi latifondisti fin dall’epoca coloniale. I cileni si convinsero che la politica stesse veramente per cambiare le cose.
Fu in quel periodo che crebbe il rancore delle classi dominanti che si sentivano minacciate e si determinò una frattura profonda tra le due visioni inconciliabili del paese. I due blocchi si fronteggiavano in strada sempre più spesso. Il ripetersi dei disordini fece prendere la decisione a Castro, che nel frattempo era in Cile per appoggiare le riforme di Allende, di lasciare il paese. Iniziarono, così, anche le difficoltà di Allende, che si era alienato nel frattempo l’appoggio dei centristi decisamente contrari a qualsiasi contiguità ideologica con il regime marxista di castro. Ci fu un deterioramento della coalizione di unità popolare che era alla base del sogno di Allende. La sinistra radicale, che fino ad allora aveva entusiasticamente appoggiato il cambiamento pacifico del paese, iniziò ad ipotizzare l’uso della forza come strumento di lotta politica, nel solco più puro del materialismo dialettico. Dall’altra parte, il partito ultraconservatore di “Patria e Libertà” (contrassegnato da un ragno nero, con mal celato riferimento alla svastica) alimentava il clima estremamente teso, compiendo atti di sabotaggio e attentati in tutto il paese. Santiago del Cile venne messa letteralmente a ferro e fuoco per giorni.
Ma il declino politico vero e proprio di Allende, avvenne con la paralisi economica completa del paese per via del fatto che i conservatori, appoggiati dalle classi economiche che si sentivano danneggiate, presero il controllo delle strade e dei trasporti bloccandoli e provocando penuria di beni e servizi essenziali. Iniziò, così a montare la collera (come non pensare che gli elementi detonatori non fossero stati abilmente pianificati), il risentimento e la diffidenza verso il governo, accusato di essere incapace di reagire (ma come avrebbe potuto con l’ostruzionismo di esercito e forze di polizia). Anche la classe media non conservatrice, che inizialmente aveva visto crescere le proprie speranze di emancipazione e le risposte alle proprie istanze, erano sul piede di guerra.
I continui disordini entrarono a tal punto nel quotidiano dei cileni, che si cominciò a temere che tutto potesse scivolare verso una guerra civile.
Fino quel tragico 11 settembre del 1970.
Inutile fare la cronistoria degli anni dello dittatura militare di Augusto Pinochet (17 anni). Sono stati scritti saggi voluminosi da eminenti studiosi e biografie da chi ha vissuto gli eventi dall’interno. Inutile ricordare che la svolta autoritaria trasformò l’intero paese in un regime poliziesco del terrore, con l’appoggio dell’esercito pronto a sedare con la forza bruta qualsiasi tentativo di rivolta. Celebri, i pestaggi in strada da parte dei famigerati carabineros, i rapimenti, le torture, le sparizioni di migliaia di persone nelle carceri segrete del regime, le esazioni e il brutale omicidio di nemici politici, come quelli fatti volare giù da un elicottero, in piena notte sull’oceano, dopo essere stati narcotizzati o pugnalati. Il rapimento arbitrario e la scomparsa di intere classi di cittadini, furono coniati con il termine Desaparecidos. Il fenomeno, ha accomunato il Cile al suo vicino cugino argentino (sorretto anch’esso dalla sanguinosa dittatura militare di Jorge Rafael Videla), più nella cattiva sorte che nella cultura. Pochi fecero ritorno a casa vivi . Anche azzardare numeri è difficile, ma si calcolano comunque in centinaia di migliaia gli scomparsi nei due paesi e migliaia furono i morti accertati.
In Italia, il periodo di 17 anni di feroce dittatura cilena, scosse molte coscienze politiche e intellettuali. Era l’epoca di Berlinguer ei anche in Italia i principi del socialismo e i discorsi sull'internazionale proletaria suscitavano ancora le piazze .
Ma vorrei concludere con un racconto personale. Appresi della situazione cilena, attraverso un 33 giri del gruppo di musicisti cileni, gli Inti-Illimani. L’album si intitolava Hacia la Libertad (Verso la libertà) e sul retro di copertina c’era la spiegazione dell’album. Fu composto in Italia nel 1975, dove il gruppo era in esilio dal 1973. Ogni brano sviluppa un particolare tema umano e sociale in chiave poetica. C’era una fotografia in bianco e nero del gruppo, mentre suonava alla Festa dell’Unità di Firenze del 1975. Uno dei brani, Patria Prisionera (un capolavoro sull'amore per la patria e l'ingiustizia sofferta per custodirlo), è un testo di Pablo Neruda che viene cantato dal gruppo in italiano e spagnolo, testimonianza di adozione sincera da parte del Popolo italiano della la causa cilena. Ricordo che quando ascoltai per la prima volta brani come Ciudad Ho Chi Min, fui rapito dalla sonorità comunitaria. operaia e rurale della chitarra e del charango, e della quena che si incuneava armoniosamente a tratti nella melodia. I suoni dei lavoratori dediti a metallurgia e carpenteria o al lavoro nei campi, venivano riprodotti con maracas, guiro e quijada (che simulavano gli strumenti da lavoro) e rintocchi di charango, tutto battuto con nocche sulla cassa di risonanza (accompagnamento ritmico tipicamente cileno). In mezzo al brano, un coro sonnolento sembrava provenire dal fondo di una lunga notte, ancora imbottita dai suoni di lavoratori. Mi affascinò al punto che ancora oggi lo ascolto e piango . Ritengo l'album Hacia la Libertad, la vera colonna sonoro della rivoluzione pacifica cilena che, ancora una volta, venne tradita dalla storia per sfociare nel sangue. Un'altra artista che rappresentò la lotta degli ultimi in Cile fu Violetta Parra, anch'essa costretta all'esilio. I sui brani sono poesie cantate sull'ingiustizia e l'umiliazione del popolo cileno, e in particolare degli indio. Una frase all'interno di un brano, risuona ancora oggi nella mia mente, recita:
Che dirà il Santo Padre che vive a Roma, che gli stanno sgozzando la sua colomba?
Il paese, con il plebiscito del 1988 si rialzò ancora una volta, allontanando Pinochet dal potere. Ha intrapreso, da allora, la sua faticosa alternanza democratica, tra alti e bassi, fino alle ultime elezioni di Boric. Ma le divisioni profonde e le ferite ancora aperte di migliaia di scomparsi, covano ancora sotto la stoppa.