La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 27713 dello scorso 2 ottobre, in tema di retribuzione proporzionata e sufficiente, ha affermato i seguenti principi:
«Nell’attuazione dell’art. 36 della Costituzione il giudice, in via preliminare, deve fare riferimento, quali parametri di commisurazione, alla retribuzione stabilita nella contrattazione collettiva nazionale di categoria, dalla quale può discostarsi, anche ex officio, quando la stessa entri in contrasto con i criteri normativi di proporzionalità e sufficienza della retribuzione dettati dall’art. 36 Cost., anche se il rinvio alla contrattazione collettiva applicabile al caso concreto sia contemplato in una legge, di cui il giudice è tenuto a dare una interpretazione costituzionalmente orientata.Ai fini della determinazione del giusto salario minimo costituzionale il giudice può servirsi a fini parametrici del trattamento retributivo stabilito in altri contratti collettivi di settori affini o per mansioni analoghe.Nella opera di verifica della retribuzione minima adeguata ex art. 36 Cost. il giudice, nell’ambito dei propri poteri ex art. 2099, comma 2, c.c., può fare altresì riferimento, all’occorrenza, ad indicatori statistici, anche secondo quanto suggerito dalla Direttiva UE 2022/2041 del 19 ottobre 2022».
Con questa sentenza, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la necessità di un salario minimo stabilito per legge in Italia. Una soglia sotto la quale nessuno debba lavorare. Una sentenza che fa riferimento all'articolo 36 della Costituzione:
«Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.».
E allora? Allora, se la contrattazione collettiva non riesce a garantirlo, se non ci sono leggi a garantirla, allora deve pensarci un giudice.
I parlamentari della maggioranza di governo si interessano a giudici e ordinanze in funzione di voler far danno a dei migranti, disperati, a cui non sia possibile estorcere 5mila euro... per poi inveire nei loro confronti, ma guardandosi bene dal discutere i provvedimenti nel merito, pretendendo così di voler dimostrare che le ragioni di una decisione contraria al (post) fascismo sia dettata solo da motivazioni ideologiche.
Poi, invece, se c'è da occuparsi di questioni che possano non far dispetto a qualcuno, ma aiutare qualcuno, come ad esempio più di 4 milioni di lavoratori che guadagnano una miseria, dalla parti di Palazzo Chigi che cosa fa il governo Meloni? Nulla! Si limita a dire che il salario minimo - che risolverebbe il problema - è dannoso, delegando il Cnel, che si occupa di analisi, a fornire indicazioni politiche su come intervenire. Un assurdo che è anche un boomerang dal punto di vista politico, perché certifica l'incapacità della maggioranza.
Intanto, nonostante i salari bassi siano sempre di più un problema su cui è necessario intervenire, il governo Meloni, che ormai ne è al corrente, non fa nulla per risolverlo.
La sentenza della Cassazione, ancora, non è diventata dibattito di battibecchi tra (post) fascisti e opposizione, ma è comunque un fatto che, come è scritto nel dispositivo, una retribuzione adeguata al costo della vita deve essere sempre comunque garantita, per poter soddisfare l'art. 36 della Costituzione. Se non è garantita da un contratto collettivo, se non è garantita da una norma di legge... allora ci penserà un giudice.