I tre puntini di sospensione sono lo stupore di fronte all’ultima novità del politicamente corretto. Non staremo un po' esagerando?
Storie scritte trenta, quaranta, cinquant’anni fa con vocaboli, espressioni, modi di dire specchio di quei tempi ma anche di questi tempi. È sufficiente sfogliare il dizionario Treccani dei sinonimi e contrari per trovare alla parola grasso: cicciotto, grassoccio, paffuto, pieno, tondo. E il suo contrario: affilato, emaciato, incavato, scavato, smagrito, smunto. È italiano, non è offensivo. Ogni parola lo può diventare, è il contesto, il tono di voce, la gestualità che dettano legge più della parola in sé. L’altra parola che sembrerebbe essere stata sostituita nelle storie di Roald Dahl è nano. Entrambe nella storia La fabbrica di cioccolata del 1964.
Sotto “attacco” anche alcune espressioni usate nei confronti delle donne nei primi film di James Bond e la strada prosegue verso film della Disney come Dumbo, Peter Pan, Gli Aristogatti. Quando frequentavo le scuole medie, ormai tanto tempo fa, mi insegnavano ad esprimermi usando terminologie e parole, adeguate ai periodi di studio che si affrontavano proprio per contestualizzare e ripercorrere la storia.
Cancellare oggi, perché sostituire equivale a cancellare, parole espressione di quei tempi che, almeno per alcune, hanno subito la giusta evoluzione, sarebbe come dire che non sono mai esistiti i pregiudizi, non è mai esistito lo scherno, non sono mai esistite le disuguaglianze. Questo disconoscimento mi spaventa e mi preoccupa. Una mano di vernice sul passato, nostro, con il quale siamo cresciuti e forse, proprio passando da quelle strade, siamo diventati migliori.
Per vergogna di come eravamo? Ma noi siamo il nostro passato, veniamo da quelle parole. Abbiamo imparato a declinarle meglio, abbiamo imparato a non usarle come armi per offendere. Adesso, un po' imbarazzati, le neghiamo, ne chiediamo la sostituzione con parole che siano più vicino a quella che chiamiamo “la sensibilità contemporanea”. In una analogia estrema mi torna in mente “1984” di Orwel. Qualcuno decide cosa si può dire o non dire e da quando. Qualcuno rimesta la storia e confonde il rispetto per l’identità altrui, obbligo di ognuno di noi, con l’appiattimento sociale verso un “Tutti uguali” falso e spaventoso.
Forse non siamo mai stati soli come lo siamo oggi, forse “Ognun per sé e Dio per tutti” non è mai stato così vero come nella nostra declamata “sensibilità contemporanea”. Si pensa al povero come zavorra del paese, non si lavora veramente per ridurre e magari eliminare le distorsioni sociali generatrici della povertà. L’apparire vale più dell’essere. Il sistema rateale nato negli anni ’60 per consentire uguaglianze necessarie a ripagare i veri sacrifici dei lavoratori oggi è tracimato, nel possedere oggetti quali telefoni, televisori, hi-fi, pc in continuo ricambio verso i più sofisticati, gli ultimi usciti, così da raggiungere l’estrema apparenza convinti di appagare il desiderio di sentirsi migliori, febbrilmente attuali e competitivi.
Le pubblicità sono “ricche” di belle donne in vetrina a sostenere questo o quel prodotto però, noi, riteniamo che James Bond non sia sufficientemente rispettoso nei confronti delle donne. Le ambizioni che abitano i cervelli della nostra gioventù, sulla quale dovremmo investire per un futuro migliore, sono appannate dal Grande fratello, dalle Veline, da utopici guadagni facili. Il sacrificio come lo intendevano i nostri genitori, i nostri nonni non fa parte della nostra contemporaneità. Dovremmo almeno provare a seminare germogli di tessuto sociale, cultura, educazione, rispetto dell’altro, rispetto dello Stato. Lo Stato siamo noi, la Nazione siamo noi. Non si migliora, non si cambia, disconoscendo il passato, chi siamo stati.
Non dire “grasso, non dire nano”, non ci migliorerà. Saremo migliori se riconosciamo, del nostro passato, gli errori che in quel tempo, in quel contesto storico abbiamo considerato giusti. Saremo migliori se siamo disposti a essere migliori. Se impareremo a studiare, a lavorare non solo per noi stessi ma pensando anche al contributo che potremo dare alla società della quale facciamo parte. Se siamo disposti a questo, sapremo riconoscere e non usura le parole “sbagliate”, sapremo spiegare ai bambini perché non usarle per offendere, perché è importante il rispetto, perché è importante riconoscere l’altro e non vedere solo noi stessi.
Ognuno di noi ha la sua unicità, sia se è grasso, magro, nano o quattrocchi, come si diceva per prendere in giro chi portava gli occhiali. È la sua unicità che dobbiamo imparare a rispettare forse, prima di tutto, imparando a rispettare la nostra. Riflettiamoci.