I dati del rapporto World Watch List 2025 di Open Doors ci consegnano una realtà sconvolgente: oltre 380 milioni di cristiani nel mondo subiscono persecuzioni e discriminazioni a causa della loro fede. È una notizia che dovrebbe scuotere le coscienze, ma che, con inquietante puntualità, rischia di scivolare nell’indifferenza generale. Non basta la fredda constatazione di 4.476 cristiani uccisi per motivi legati alla fede nell’ultimo anno per rompere il muro di silenzio che circonda questo genocidio spirituale e culturale. Perché?

L’ipocrisia del “politicamente corretto”
Viviamo in un tempo in cui si alzano cori indignati, giustamente, per ogni forma di discriminazione. Eppure, quando si tratta di cristiani perseguitati, la macchina della solidarietà si inceppa. Perché l’Occidente, così orgoglioso dei propri valori di tolleranza e libertà, sembra incapace di denunciare con forza questa barbarie? La risposta sta in una perversa ipocrisia: difendere i cristiani non è “alla moda”. Al contrario, i media mainstream e una parte della politica preferiscono ignorare o minimizzare il problema, forse per non urtare sensibilità altrui o per non incrinare equilibri diplomatici. Ma quale equilibrio può essere più importante della vita e della dignità di milioni di persone?

La Corea del Nord e il silenzio colpevole
La Corea del Nord guida, ancora una volta, la classifica dei Paesi più ostili al cristianesimo. Qui, tra i 50.000 e i 70.000 cristiani languono nei campi di concentramento per la sola “colpa” di credere in Dio. Eppure, l’indignazione globale che ha travolto altri regimi oppressivi non sembra sfiorare Pyongyang. Le condanne si fanno timide, i proclami tiepidi, le azioni inesistenti. L’Occidente non ha forse imparato nulla dalle tragedie del passato, quando il silenzio e l’inerzia permisero crimini inenarrabili?

La complicità del relativismo
Un altro pilastro della persecuzione anticristiana è il relativismo culturale, che funge da scudo per giustificare l’ingiustificabile. Nazioni come Somalia, Yemen, Libia e Sudan perpetuano abusi indicibili in nome di tradizioni tribali o estremismi religiosi. Ma chi osa parlare viene immediatamente tacciato di imperialismo culturale. È un paradosso crudele: mentre ci battiamo per l’uguaglianza, accettiamo che milioni di cristiani vivano come cittadini di serie B, invisibili agli occhi del mondo.

Il dramma dei profughi e delle chiese svuotate
Le comunità cristiane, specialmente in Medio Oriente, stanno lentamente scomparendo. Profughi, guerre e persecuzioni stanno svuotando le chiese, trasformando luoghi che un tempo erano culle della fede in desolati deserti spirituali. Come possiamo tollerare che il cristianesimo venga estirpato dai luoghi in cui è nato? Dove sono le campagne internazionali per salvare questi fratelli e sorelle dalla catastrofe?

Donne cristiane, bersagli privilegiati
Il rapporto mette in luce un’altra realtà atroce: la violenza di genere come arma contro le donne cristiane. Le 3.944 violenze documentate, i 821 matrimoni forzati, sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno che troppo spesso rimane nell’ombra. Qui, la fede diventa un’aggravante per la brutalità, un doppio fardello che le vittime sono costrette a portare nel silenzio e nella vergogna. Chi darà voce a queste donne? Chi spezzerà il cerchio di omertà e ingiustizia?

Basta silenzio: è tempo di agire
L’Occidente non può continuare a voltarsi dall’altra parte. Serve un cambio di passo deciso, un risveglio delle coscienze che metta fine a questa inaccettabile complicità con l’indifferenza. La persecuzione anticristiana non è solo un problema dei Paesi lontani: è una ferita aperta che lacera la dignità umana.

Politici, media e organizzazioni internazionali devono prendere una posizione chiara e inequivocabile. Lottare per la libertà religiosa non significa schierarsi, ma difendere un diritto fondamentale. E difendere i cristiani perseguitati oggi è difendere la libertà di tutti domani.