Giovedì, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha reso noto che imporrà "pesanti" dazi doganali sull'importazione di acciaio e alluminio con lo scopo di proteggere i produttori statunitensi. Ovviamente, i partner commerciali di Washington, come ad esempio la Cina, l'Europa e il Canada, non hanno approvato tale scelta, che fa pensare al primo passo di una escalation che non potrà non portare ad una vera e propria guerra commerciale.

Trump ha annunciato che i nuovi dazi saranno applicati a partire dalla prossima settimana, al di là di quelli che potrebbero essere eventuali ritardi causati da dettagli burocratici. Con le nuove tariffe, all'acciaio importato negli Usa sarà applicato un dazio del 25%, mentre sarà del 10% quello sull'alluminio.

Per dar seguito alla sua politica annunciata in campagna elettorale, America First, con questa misura Trump ritiene di tutelare i posti di lavoro degli americani. Ma è proprio così? Anche un idiota, infatti, capirebbe che i Paesi danneggiati da tale scelta, oltre che protestare, utilizzeranno come ritorsione la stessa politica di Trump su prodotti provenienti dagli Usa.

Un esempio? Mentre Trump pensa di salvaguardare i posti di lavoro degli americani che producono acciaio e alluminio, contemporaneamente metterà a rischio quelli di coloro che producono soia perché probabilmente la Cina, uno dei principali importatori di quel prodotto, applicherà dei dazi insostenibili per le aziende cinesi che finora lo avevano acquistato dagli Usa.

Nel giro di poche settimane si scatenerà una guerra commerciale che potrà avere ripercussioni a cascata sui produttori, sui posti di lavoro, sui rapporti tra Stati e sui mercati... le borse, tra l'altro, saranno le prime a risentirne con conseguenze difficilmente prevedibili sia sul mercato azionario che, soprattutto, su quello dei titoli legati alle materie prime.

Di "guerra commerciale internazionale" ha parlato questa mattina il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel che si è anche auspicato che il presidente Trump possa cambiare idea.

Un auspicio che coinvolge anche il Congresso americano e ampi settori del partito repubblicano come dimostra la dichiarazione del senatore Charles Patrick Roberts che presiede la Commissione agricoltura che ricorda ha Trump l'esistenza del proverbio "quel che è fatto è reso", dicendosi preoccupato per le conseguenze che la decisione del presidente potrebbe avere sull'agricoltura americana.

Tra i principali Paesi che avrebbero conseguenze negative in seguito alla decisione di Trump vi è soprattutto il Canada che contribuisce per il 16% alla domanda di acciaio da parte degli Stati Uniti, seguito dalla Cina con il 2%, dal Brasile e dalla Corea del Sud.

Per questo, il ministro degli Esteri canadese, Chrystia Freeland, ha dichiarato che se dovessero essere imposte restrizioni sui prodotti canadesi di acciaio e alluminio, il Canada prenderà misure adeguate per difendere i propri interessi commerciali e i propri lavoratori.

Anche il commissario europeo al Commercio dell'Unione Europea, Cecilia Malmstrom, ha commentato la scelta di Trump definendola un'iniziativa "profondamente ingiusta", e anticipando che l'UE porterà il caso al WTO per chiedere provvedimenti a tutela dei propri produttori.