La scorsa settimana, Microsoft ha finalmente ammesso di aver messo a disposizione di Israele, anche in modo massiccio, i propri servizi di intelligenza artificiale e cloud nel bel mezzo del genocidio in corso a Gaza. Tuttavia, la multinazionale americana si è affrettata a precisare che un'indagine interna non ha riscontrato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) abbiano utilizzato questi servizi per colpire o danneggiare la popolazione palestinese. Un'affermazione che, di fatto, non regge in alcun modo alla prova della realtà. È un'autoassoluzione che offende l'intelligenza di chiunque osservi da vicino il ruolo delle big tech nei conflitti contemporanei.
È inutile girarci intorno: come i crimini nazisti non sarebbero stati possibili senza il contributo tecnico di IBM (tramite la sua filiale tedesca Dehomag, Deutsche Hollerith-Maschinen Gesellschaft), che fornì i sistemi per catalogare, rintracciare e deportare milioni di ebrei, rom e disabili, così oggi il genocidio e l'apartheid di Israele nei confronti dei palestinesi non avrebbero potuti essere messi in atto senza l'infrastruttura tecnologica fornita da Microsoft.
Un'altra notizia, passata quasi sotto silenzio ma gravissima, riguarda la disattivazione da parte di Microsoft dell'account email del procuratore capo della Corte Penale Internazionale, Karim Khan. Una mossa che ostacola le comunicazioni necessarie all'esecuzione di un mandato di arresto internazionale contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e altri alti funzionari. Siamo di fronte a un'azienda che non si limita a vendere tecnologia: partecipa attivamente, o quanto meno consapevolmente, a processi che impediscono l'attuazione delle norme del diritto internazionale.
I legami tra Microsoft e Israele non sono episodici, sono strutturali, profondi e strategici. L'azienda impiega oltre un migliaio di ex militari e agenti dell'intelligence israeliana nei propri uffici in Israele e centinaia anche nella sede centrale di Redmond e in altri uffici americani. Parliamo di individui che hanno ricoperto ruoli sensibili e strategici all'interno delle IDF e che ora occupano posizioni cruciali nello sviluppo tecnologico di Microsoft.
Eccone alcuni:
- Jonathan Bar Or, ex militare IDF ora ricercatore di sicurezza;
- Eitan Shteinberg, oggi senior manager per la piattaforma cloud Azure, con oltre un decennio di servizio nelle IDF e un passato in Elbit, azienda bellica israeliana;
- Roy Rubinstein, direttore di Fabric, piattaforma di analisi dati, con nove anni passati nell'unità tecnologica delle IDF;
- Joseph Berenbilt, ex operatore d'élite nelle operazioni speciali israeliane, ora impiegato su Azure, la stessa piattaforma utilizzata in operazioni militari.
Costoro non sono semplici dipendenti: sono persone che hanno costruito — e continuano a potenziare — la struttura tecnologica che sostiene uno degli apparati militari più sofisticati e opprimenti del mondo.
Dal 2000 a oggi Microsoft ha acquisito ben 17 aziende israeliane, tutte fondate da ex ufficiali dell'intelligence militare. Queste operazioni hanno portato miliardi nelle casse dello Stato israeliano e nei portafogli di chi ha contribuito a progettare l'infrastruttura dell'apartheid digitale. Tra queste acquisizioni spiccano Oribi, Aorato, CyberX, Hexadite — tutte focalizzate su sicurezza, analisi predittiva, monitoraggio e intelligenza artificiale.
Nel 2023 Microsoft ha inoltre firmato un accordo con Amdocs, azienda fondata da ex membri delle IDF, già sospettata negli anni 2000 di spionaggio contro il governo USA. La collaborazione tra Amdocs e Microsoft, oggi ufficializzata, non fa che consolidare la simbiosi tra capitale tecnologico americano e apparato militare israeliano.
Non è più un segreto che Israele utilizzi l'intelligenza artificiale e i big data per operazioni di sorveglianza, profiling e attacchi mirati. Secondo il magazine israeliano +972, Microsoft Azure ospita direttamente il sistema "Rolling Stone", usato dalle IDF per gestire i dati dei palestinesi. Una piattaforma centrale nell'architettura dell'apartheid che controlla spostamenti, documenti e ogni aspetto della vita quotidiana di un popolo sotto occupazione.
La stessa rivista ha rivelato che dipendenti Microsoft collaborano attivamente con l'esercito israeliano, in molti casi integrandosi per mesi all'interno delle sue unità per sviluppare strumenti specifici. Un esempio concreto: la responsabile IT israeliana Racheli Dembinsky, durante una conferenza, ha illustrato il ruolo cruciale dell'IA nella guerra a Gaza, mentre sullo sfondo campeggiava il logo di Microsoft Azure.
Microsoft ha avuto la sfrontatezza di dichiarare di non aver riscontrato alcuna evidenza dell'uso offensivo dei suoi servizi da parte dell'IDF. Ma le prove sono ovunque. Dai sistemi di riconoscimento facciale usati nei checkpoint in Cisgiordania, fino alle tecnologie impiegate per identificare obiettivi da colpire a Gaza, l'intero impianto tecnologico che consente l'occupazione e il genocidio è, almeno in parte, costruito con mattoni firmati Microsoft.
Nel 2024, ben dopo l'inizio del massacro a Gaza, una gigantesca bandiera israeliana è stata appesa nell'ufficio Microsoft di Beersheba, come a sancire un'identità condivisa, un allineamento ideologico, non solo lavorativo.
Microsoft non è un'osservatore neutrale. È un attore attivo e fondamentale nell'ecosistema militare-industriale che consente a Israele di perpetrare crimini di guerra. E lo fa con consapevolezza, con investimenti, con personale formato e selezionato in base alle competenze acquisite in guerra.
Quando arriverà il momento della resa dei conti — e arriverà — non basterà dire "non lo sapevamo". Perché lo sapevano. E ci hanno lucrato sopra.
La tecnologia non è neutrale. Chi la costruisce, la vende e la impiega per l'oppressione ne è responsabile. E Microsoft, oggi, ha molto da spiegare e molto di cui vergognarsi.
Fonte: thegrayzone.com - donotpanic.news