Sarà possibile andare in pensione a 64 anni, cumulando gli importi del fondo complementare, ma solo se si hanno già 20 anni di contributi e se si è pienamente nel regime contributivo: la somma dei contributi previdenziali con l’aggiunta di quelli complementari vale ai fini del raggiungimento dell’importo richiesto per accedere alla pensione.
E’ questa la novità, in chiave pensionistica, che è stata introdotta con un emendamento alla legge di Bilancio con l’obiettivo di rendere più flessibile l’accesso alla pensione.
Al momento la norma riguarda pochissime persone, visto che interessa lavoratori che sono nel pieno regime contributivo e quindi assunti successivamente al primo gennaio 1996, che quindi hanno al massimo 28 anni di contributi.
Si calcola che un maggiore effetto ci sarà dal 2030. Si tratta però di un primo passo innovativo, che consente di considerare cumulabili gli importi della pensione principale con quella attivata con i fondi complementari. E l’idea è quella di aprire un varco per consentire anche nel futuro l’estensione ai lavoratori pre-1996.
In questo caso i lavoratori interessati sarebbero 80mila. L’attuale normativa consente di andare in pensione a 64 anni ai lavoratori in regime contributivo, con un minimo di 20 anni di contributi, solo se l’importo dell’assegno che si percepirà è pari a 3 volte la pensione minima per gli uomini e 2,8 volte per le donne. La novità consiste nel fatto che per raggiungere questo importo può essere utilizzata anche la rendita del fondo previdenziale complementare.
1. Cosa prevede la norma?
Sarà possibile andare in pensione a 64 anni utilizzando anche gli importi accumulati nei fondi di previdenza complementare.
Questo si applica a chi:È pienamente nel regime contributivo (assunti dal 1° gennaio 1996 in poi).
Ha almeno 20 anni di contributi.
Può raggiungere l’importo richiesto per la pensione (pari a 3 volte la pensione minima per gli uomini e 2,8 volte per le donne) cumulando:L’assegno della pensione obbligatoria.
La rendita derivante dai fondi di previdenza complementare.
2. Chi riguarda attualmente?
Al momento, riguarda una platea molto ridotta:Solo chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1° gennaio 1996, e quindi è interamente soggetto al regime contributivo.
Dato il massimo di 28 anni di contributi raggiungibili da questi lavoratori, il numero effettivo di persone idonee è basso.
Tuttavia, si prevede un impatto maggiore a partire dal 2030, man mano che questa categoria di lavoratori maturerà ulteriori contributi.
3. Qual è la vera novità?
La possibilità di considerare cumulabili gli importi derivanti dalla pensione principale e dalla previdenza complementare per raggiungere l’importo minimo richiesto.
È un primo passo che potrebbe aprire la strada a future modifiche legislative:Estendere questa possibilità anche ai lavoratori assunti prima del 1996, attualmente esclusi dal pieno regime contributivo.
4. Benefici e limiti
Benefici
Maggiore flessibilità per accedere alla pensione anticipata.
Valorizzazione del ruolo della previdenza complementare, incentivando i lavoratori a costruirsi un’integrazione pensionistica.
Limiti
Platea ridotta nel breve termine.
Riguarda solo chi ha costruito una consistente rendita complementare, il che potrebbe escludere chi non ha potuto o voluto aderire ai fondi pensione.
5. Prospettive future
Se estesa ai lavoratori pre-1996, si calcola che la platea interessata potrebbe raggiungere 80.000 persone.
Questa misura potrebbe rappresentare un modello per ulteriori riforme volte a incentivare la previdenza complementare e offrire maggiore flessibilità pensionistica.
In sintesi, questa novità è un passo avanti verso una maggiore integrazione tra previdenza obbligatoria e complementare, con l’intento di rendere il sistema più sostenibile e flessibile nel tempo.