Obama colpisce ancora. Dopo Netanyahu adesso è la volta di Putin. Dopo aver indicato nei serivizi segreti russi, compreso il GRU, i responsabili della violazione dei server di posta che hanno portato alla pubblicazione di email riservate dello staff di Hillary Clinton, l'amministrazione USA ha chiuso due proprietà utilizzate dai russi negli USA, una a Glen Cove nello stato di New York e l'altra a Eastern Shore nel Maryland, per attività di spionaggio ed espulso 35 diplomatici russi, insieme alle loro famiglie, con l'accusa di essere spie.
L'ultimo provvedimento è stato preso, ufficialmente, come ritorsione per le provocazioni subite dai diplomatici americani in Russia. Non è chiaro se i 35 espulsi siano coinvolti nell'attività di hackeraggio denunciata da Obama e supportata anche da un dossier dell'FBI.
Come accade in questi casi, Putin ha negato qualsiasi coinvolgimento della Russia nella vicenda che ha riguardato la pubblicazione delle email di Podesta, capo staff del team di Hillary Clinton, annunciando ritorsioni adeguate nei confronti degli USA. Probabilmente, saranno espulsi dalla Russia altrettanti "diplomatici" americani.
La strategia di Obama è ormai evidente. Poiché Trump è una mina vagante e le sue decisioni potrebbero influenzare pesantemente e negativamente, almeno secondo Obama, quanto finora fatto dagli USA in politica estera, il presidente uscente sta creando intorno a quello entrante delle vere e proprie trincee, oltrepassando le quali, potrebbero metter Trump in difficoltà, sia nei confronti dell'opinione pubblica che nei confronti del Congresso.
Trump amico della destra ultra israeliana, sbugiardata dalla denuncia di Kerry sulla reale volontà di portare avanti un vero accordo di pace. Trump amico di Putin che viola i sistemi informatici degli americani per carpirne i segreti.
In pratica, Trump, nel momento stesso in cui entrerà in carica, è già etichettato come colui che sta dalla parte dei cattivi. Dal punto di vista politico, le mosse di Obama sono di una lucidità e di una perfidia che non pssono non essere applaudite.
Per quanto riguarda la vicenda del cosiddetto hackeraggio, è necessario anche sottolineare il paradosso che la caratterizza. Il presidente USA, supportato dai media che ne ripetono le parole senza ricordare i fatti, tutti i fatti, mette in allerta dal pericolo di inquinamento, da parte dei russi, dei processi elettorali di tutti i paesi democratici, ricordando in particolar modo il voto in Germania e quello in Francia. I russi potrebbero influenzarli favorendo un candidato che possa servire i propri interessi.
Ma veniamo al paradosso. Il principio esposto dall'amministrazione USA è sicuramente corretto, però, nei fatti, ciò che i russi avrebbero fatto è stato quello di rendere pubbliche delle email provenienti dallo staff che curava la campagna elettorale della Clinton in cui si confessava che la candidata democratica era, praticamente, una bugiarda matricolata oppure, nel migliore dei casi, un'opportunista senza scrupoli.
Nessuno ha mai detto che le email pubblicate fossero dei falsi ed il loro contenuto fosse stato volutamente modificato. Quindi, con l'hackeraggio di cui vengono accusati, i russi hanno semplicemente fatto un favore agli americani svelando loro chi è realmente la Clinton. Probabilmente, anche per questo motivo, alcuni non l'hanno votata.
E questa sarebbe la colpa? Ma se la stessa attività fosse stata svolta dal Washington Post allora si sarebbe trattato non più di spionaggio, ma di giornalismo investigativo? Sicuramente estremo, ma alla fine del gioco sarebbero state portate alla conoscenza del pubblico le attività di bugiardi che operavano contro la buona fede degli elettori.
Curiosamente, queste considerazioni nessuno le ha ancora sollevate. Forse non è conveniente ricordarle all'opinione pubblica?