Mentre l'Unione Europea esorta gli Stati presenti alla COP28 a compiere i passi necessari per interrompere i flussi economici dannosi al clima, è il suo stesso sistema finanziario che continua a sostenere combustibili fossili e settori ad alta intensità di carbonio. È quanto emerge dal nuovo rapporto di ActionAid "European Finance Flows fuelling the climate crisis" presentato il 4 dicembre a livello internazionale. L'Unione Europea, che si è fatta portavoce dell'attuazione dell'articolo 2.1c dell'Accordo di Parigi per rendere i "finanziamenti coerenti con un percorso verso basse emissioni di gas serra e uno sviluppo clima-resiliente", deve fare da apripista assumendo un ruolo guida. Dall'Accordo di Parigi nel 2015, le banche dell'UE hanno fornito una media annuale di 46,74 miliardi di dollari (40,2 miliardi di euro) in finanziamenti per i combustibili fossili e l'agricoltura industriale nel Sud globale. Nello stesso periodo di tempo, l'UE e i suoi Stati membri hanno contribuito in media con 20,62 miliardi di dollari (18,2 miliardi di euro) per la mitigazione della crisi climatica. Tuttavia, se consideriamo solo le sovvenzioni a fondo perduto, dunque escludendo i prestiti e le garanzie, la media è di soli 11,26 miliardi di dollari (9,7 miliardi di euro) all'anno. In altre parole, dopo l'Accordo di Parigi, le banche dell'UE hanno fornito finanziamenti ai combustibili fossili e alle attività agricole industriali nel Sud globale 4 volte più alti di quanto l'UE e i suoi Stati membri abbiano fornito in termini di valore reale per i Paesi del Sud in prima linea nella crisi climatica. "I flussi finanziari globali si muovono nella direzione sbagliata. Le banche spesso affermano di voler affrontare il problema del cambiamento climatico, ma il loro continuo finanziamento dei combustibili fossili e dell'agricoltura industriale sta condannando le comunità in Africa, Asia e America Latina alla crudele combinazione di mancanza di terra, deforestazione, inquinamento delle acque e cambiamento climatico. I flussi finanziari europei sono una parte importante del problema del pianeta, in quanto convogliano molti più fondi verso le cause del cambiamento climatico nel Sud del mondo che verso le soluzioni. La COP28 dovrebbe produrre uno stimolo fondamentale per riorientare i flussi finanziari che danneggiano il clima del pianeta. Dobbiamo regolare i flussi finanziari privati che risultano dannosi e incrementare allo stesso tempo i finanziamenti pubblici per le soluzioni alla sfida del clima che cambia” dichiara Teresa Anderson, responsabile globale per la giustizia climatica di ActionAid International e una delle autrici del rapporto.
LE BANCHE ITALIANE ED EUROPEE PIU' INQUINANTI E IL CASO ENI. Secondo la ricerca di ActionAid, le banche con sede nell'Unione Europea hanno erogato 327,15 miliardi di dollari in prestiti e sottoscrizioni a favore di combustibili fossili e attività agricole industriali nel Sud globale nei sette anni dalla firma dell'Accordo di Parigi. In particolare, si tratta di 239,63 miliardi di dollari di finanziamenti per combustibili fossili e di 87,42 miliardi di dollari di finanziamenti per l'agricoltura industriale nel Sud globale emessi tra il 2016 e il 2022. A espandere maggiormente gli investimenti in attività climalteranti, oltre alle italiane Unicredit (18,40 miliardi di dollari) e Intesa San Paolo (11,95 miliardi di dollari) ci sono BNP Paribas (49,55 miliardi di dollari), Société Générale (41,7 miliardi di dollari) e Crédit Agricole (37,57 miliardi di dollari), ING Group (21,14 miliardi di dollari). Miliardi di finanziamenti diretti ad alcuni dei più grandi progetti di espansione dei combustibili fossili, le cosiddette carbon bombs o “bombe di carbonio". Deutsche Bank finanzia direttamente e indirettamente ben 83 “bombe di carbonio” con un potenziale di emissioni stimato in 272,3 GtCO2, mentre BNP Paribas ne finanzia, direttamente o indirettamente, 59, con un potenziale di emissioni stimato in 216,9 GtCO2. Eni, multinazionale italiana del petrolio e del gas riceve la maggior parte dei finanziamenti per le sue attività nel Sud globale da banche europee. Dal 2016 al 2022 ha ricevuto da UniCredit 4,01 miliardi di dollari, da Intesa Sanpaolo 3,45 miliardi di dollari, da BNP Paribas 3,19 miliardi di dollari e da Crédit Agricole 3,03 miliardi di dollari. Nonostante affermi di voler trasformare la propria attività per raggiungere la "carbon neutrality entro il 2050", in realtà l'azienda continua a dare priorità agli investimenti in petrolio e gas e nel 2023 è uno dei maggiori produttori al mondo alla guida di un'ulteriore "corsa al gas" in tutto il continente africano e in particolare in Egitto, Mozambico, Angola e Libia. I finanziamenti che le banche europee continuano a indirizzare verso progetti altamente dannosi per l'ambiente e i diritti umani sono in aperto contrasto con la strategia di medio periodo contenuta all'interno dell'art. 2.1c dell'Accordo di Parigi, che chiede che i flussi finanziari siano coerenti con uno sviluppo a basse emissioni. Vanno colte tutte le opportunità che permettano di costruire un percorso coerente. L'inclusione del settore finanziario all'interno della direttiva in materia di diritti umani e ambiente (CSDDD), ad esempio, rappresenta un'opportunità unica. Alcuni paesi però, guidati dalla Francia, stanno facendo pressione per escludere la finanza dalla direttiva. Nell'ambito dei negoziati paralleli per il nuovo obiettivo di finanziamento alla lotta alla crisi climatica post-2025, i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo non concordano sul modo in cui i finanziamenti privati, compresi i prestiti forniti dalle banche, dovrebbero essere conteggiati ai fini degli obiettivi di finanziamento per il clima. Per i Paesi già indebitati a causa degli impatti del cambiamento climatico, i finanziamenti sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto sono il tipo di sostegno più utile. ActionAid esorta la COP28 a progredire negli impegni dell'Accordo di Parigi secondo l'articolo 2.1c, con misure quali nuovi regolamenti per eliminare gradualmente i finanziamenti a combustibili fossili e attività ad alta emissione. Chiede anche un aumento significativo dei finanziamenti pubblici dell'UE e dei suoi Stati membri, basati su sovvenzioni a fondo perduto, per far fronte a una parte degli impegni assunti ai sensi dell'articolo 9.1 dell'Accordo di Parigi e senza subordinarli alle decisioni dell'articolo 2.1c. Infine, invita l'UE a intraprendere azioni nazionali contro i flussi finanziari dannosi, includendo banche e istituzioni finanziarie nella direttiva sulla due diligence per la sostenibilità delle imprese (Corporate Sustainability Due Diligence Directive, CSDD) in materia di diritti umani e ambiente.
Il comunicato di Action Aid, sopra riportato, non fa che confermare ipocrisia e menzogne che, ogni volta, fanno da base alle varie COP così come ad altri eventi/rapporti collegati alla crisi climatica. E ad esserne i primi artefici sono anche i politici che dovrebbero ingegnarsi a portare soluzioni al problema, gli stessi che poi si disperano per l'ennesima tragedia provocata da eventi atmosferici estremi che, vista la frequenza, sono oramai un'abitudine.
Ma uno spiraglio concreto ad un inversione di tendenza quei politici lo hanno suggerito, con Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Giappone, Emirati Arabi Uniti e altre 17 nazioni che hanno annunciato un accordo per triplicare la potenza nucleare installata entro metà secolo... quando per quella data dovrebbero essere in esercizio i primi impianti basati sulla fusione nucleare.
Sorprendentemente, considerando le dichiarazioni sul tema dei leader degli altri partiti della maggioranza, la premier Meloni non solo non ha firmato la dichiarazione, ma interrogata sul tema dai giornalisti in conferenza stampa, si è detta perplessa (salvo ripensamenti in base ad evidenze contrarie) sulla possibilità che l'Italia possa iniziare a investire adesso sul nucleare basato sulla fissione, in vista della fusione, definita "grande sfida italiana"+.
In campo energetico, l’equivalente del proverbiale lancio di palla in tribuna: è di fissione che parla la dichiarazione dei 22, e nessuno sa se e quando la fusione sarà disponibile. Una timidezza notevole per quell’esecutivo che nel vicino passato ha parlato di rilancio del nucleare nella penisola.
Di positivo, da segnalare che gli Stati uniti hanno aderito alla Powering Past Coal Alliance, impegnandosi a non costruire nuove centrali a carbone, promettendo di pianificare la chiusura di quelle esistenti in un lasso di tempo compatibile col mantenimento dell'innalzamento della temperatura entro +1.5°C, e aggiungendo di voler ridurre le emissioni di metano (che impatta sul'aumento della ntemperatura decine di volte più del carbone) dell'80% in 15 anni.