Nel lungo e tormentato itinerario investigativo che si dipana intorno alla scomparsa di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana svanita nel nulla il 22 giugno del 1983, sono state avanzate numerose ipotesi, spesso divergenti, talvolta fantasiose, sovente supportate da frammenti di verità e da una selva di depistaggi.
Le piste percorse negli anni sono molteplici: vi è quella che riconduce il rapimento a una ritorsione legata all'attentato a Papa Giovanni Paolo II, la cosiddetta pista bulgara; vi è l'ipotesi che coinvolge la Banda della Magliana e il suo legame con i poteri occulti della capitale; vi sono insinuazioni che parlano di coinvolgimenti della CIA, del KGB, e della massoneria deviata. Vi sono anche le tesi più spirituali, o addirittura misticheggianti, che vedono la vicenda intrecciata con i misteri di Fatima, i segreti inconfessabili del Terzo Segreto, e la presunta volontà di mettere a tacere una verità scomoda per la Chiesa stessa.
Ciascuna di queste ipotesi ha alimentato l'immaginario collettivo e, per decenni, ha sostenuto un dibattito pubblico che oscillava tra indignazione e impotenza. Tuttavia, nell'intreccio di queste narrazioni, un elemento è rimasto per lungo tempo ai margini, come una nota stonata che pochi avevano il coraggio di suonare con chiarezza: la possibilità che Emanuela sia stata inizialmente rapita per un fine specifico e, solo successivamente, sia stata inglobata in un meccanismo più ampio e sistemico, legato alla sessualità coatta e al soddisfacimento di desideri pervertiti da parte di uomini potenti e intoccabili.
Una tale ipotesi, sebbene non corroborata da sentenze ufficiali, emerge con forza inquietante da un mosaico di testimonianze, intercettazioni, e comportamenti omissivi da parte delle istituzioni. Essa non si contrappone alle altre piste: le ingloba, le reinterpreta, le rilegge alla luce di una verità che non osa divenire ufficiale.
Il cosiddetto "catalogo", una lista non scritta ma silenziosamente nota in certi ambienti romani, costituirebbe la chiave interpretativa di molte scomparse rimaste irrisolte. Ragazze giovani, spesso con tratti fisici simili, venivano selezionate, avvicinate, ingannate con promesse illusorie, e infine risucchiate in un sistema di sfruttamento che non lascia tracce, se non quelle impresse nei ricordi sbiaditi di chi ha visto, ma ha taciuto.
Nel caso di Emanuela, ciò che colpisce è che il suo (finto) sequestro sembrerebbe, in origine, avere finalità diverse: un messaggio al Vaticano, un mezzo di pressione politica, forse persino una manovra interna alle sacre stanze. Ma quando il clamore si fece insostenibile, quando la macchina mediatica e diplomatica non poté più essere governata, Emanuela fu consegnata a un'altra dimensione: quella dell'oblio sistemico, dove la sua identità cessò di avere valore umano per diventare merce, corpo, oggetto. Ed è in quel momento che ella, come forse altre prima e dopo di lei, entrò nel buio del "catalogo".
In questa prospettiva, ogni altra ipotesi non viene annullata, ma assume il ruolo di cornice narrativa utile a celare il nucleo più oscuro della vicenda: un sistema di abuso protetto, tollerato, e talvolta perfino orchestrato da figure al di sopra di ogni sospetto.
Finché questa verità non sarà pronunciata ad alta voce nelle sedi della giustizia e della memoria collettiva, il caso Orlandi non troverà requie. Non perché manchino prove, ma perché manca, ancora oggi, il coraggio di guardare dove nessuno vuole guardare: nel cuore stesso del potere.
Rimane fuori da ogni logica la pista parentale che vuole il coinvolgimento di Mario Meneguzzi nella vicenda. Una pista come tante ma anche la più povera.