Donald Trump ha dichiarato l'intenzione di introdurre entro la prossima settimana una nuova aliquota tariffaria sull'importazione di semiconduttori. Questa mossa si inserisce in un contesto più ampio di revisione delle politiche commerciali statunitensi, mirata a incentivare la produzione interna e a ristrutturare le relazioni con la Cina.
Trump ha chiarito che, nonostante alcune aziende del settore potrebbero usufruire di una certa flessibilità – con l'esclusione di alcuni prodotti come smartphone e computer, almeno inizialmente – la strategia globale resta quella di ridurre la dipendenza dagli accordi di libero scambio esistenti, in particolare per quanto riguarda i semiconduttori. Il presidente, parlando ai giornalisti presenti nell'Air Force One mentre rientrava a Washington dalla sua tenuta di West Palm Beach, ha sottolineato la volontà di "semplificare la situazione" e puntare a produrre "chip, semiconduttori e altre cose" sul suolo americano.
L'annuncio si inserisce in un quadro già segnato da precedenti manovre tariffarie. Trump aveva già disposto un'indagine sulla sicurezza nazionale nel settore dei semiconduttori, mirando ad analizzare non solo il comparto stesso ma l'intera catena di fornitura dell'elettronica. In questo frangente, il segretario al commercio, Howard Lutnick, ha precisato che nei prossimi due mesi i prodotti tecnologici essenziali provenienti dalla Cina, insieme ai semiconduttori, saranno soggetti a un "dazio di tipo speciale".
A differenza dei dazi reciproci che avevano escluso alcuni prodotti per la loro importanza sul mercato quotidiano, i nuovi dazi sembrano avere in mente un target più specifico: spingere le aziende statunitensi a riorganizzare interamente le proprie catene di approvvigionamento. Questa strategia appare come un tentativo di rendere più "robusta" la produzione interna, riducendo il rischio di interruzioni e la dipendenza dalla Cina.
Bill Ackman, investitore miliardario e sostenitore di Trump durante le presidenziali 2024, ha criticato gli attuali dazi. Ackman ha proposto, addirittura, una sospensione temporanea dei dazi per 90 giorni, suggerendo che una riduzione al 10% potrebbe favorire in modo più efficace il trasferimento delle catene produttive fuori dalla Cina.
Sven Henrich, stratega di mercato, ha espresso il suo scetticismo riguardo a una politica che cambia continuamente, sostenendo che tale flessibilità rende difficile per le aziende pianificare investimenti e strategie a medio-lungo termine.
Dal fronte politico, la senatrice Elizabeth Warren ha attaccato aspramente l'approccio tariffario di Trump, definendolo "caotico" e accusandolo di alimentare tensioni economiche e inflazionistiche, in un clima di incertezza che non favorisce né la crescita né la stabilità del mercato.
Pechino non è rimasta a guardare passivamente. In risposta alle revisioni del piano tariffario statunitense, la Cina ha aumentato i propri dazi sulle importazioni americane al 125% e ha annunciato di essere intenzionata a rivedere l'impatto delle esclusioni sui prodotti tecnologici. Un funzionario del Ministero del Commercio cinese ha paragonato la situazione a "un campanello al collo di una tigre", alludendo all'idea che soltanto il medesimo attore che ha legato il nastro possa anche scioglierlo.
Queste dinamiche hanno un impatto diretto non solo sulle aziende, ma sull'intera economia globale. Gli esperti sottolineano come il continuo tira e molla nei dazi e nelle esclusioni stia creando un clima di incertezza che potrebbe portare a effetti collaterali, tra cui possibili rischi di recessione.