Se i media non fossero avvezzi a fare informazione solo sotto dettatura dei politici, in questi giorni Altopascio, una cittadina di 15 mila abitanti in provincia di Lucca, sarebbe agli onori della cronaca di stampa, radio e TV.

Non che ad Altopascio sia accaduto un evento di interesse planetario, ma sarebbe intrigante riflettere sul pragmatismo che ne  ispira l’amministrazione comunale.

Una riflessione utile proprio nei giorni in cui, a Roma, il governo gialloverde si arrabatta per rendere credibile una Legge di Bilancio 2019 che non sbugiardi le chimeriche promesse elettorali di Salvini e Di Maio pur rispettando i vincoli UE.

Ma perché  Altopascio ?

Perché in questo comune, al confine tra le province di Lucca e Pistoia, il 30% delle famiglie è a rischio povertà, una amara realtà diffusa purtroppo sull’intero territorio nazionale.

Alleviare il disagio di una parte almeno di queste famiglie è stato uno degli obiettivi della amministrazione altopascese di  centrosinistra, insediatasi nel giugno 2016 con alla guida il Sindaco Sara D’Ambrosio.

Il desiderio del Sindaco e della sua giunta, però, era quello di elaborare una modalità di aiuto economico che non fosse un semplice assistenzialismo ma che, oltre a dare dignità all’assistito ed a farlo sentire parte della comunità, ricambiasse la collettività con la concretezza di servizi.

Un intento non facile da realizzare ma che alla fine si è concretizzato nella idea del “Baratto sociale”.

Dal dicembre 2017, cioè, in cambio di un aiuto economico di € 500, che aumenterà a € 1000, l’assistito è impegnato a svolgere attività utili alla comunità come, ad esempio, curare il verde pubblico ed il decoro urbano, sorvegliare l’uscita delle scuole, assistere anziani e disabili, etc.

Una modalità di welfare, quindi, che non ha nulla a che vedere né con il “reddito di inclusione” dei governi Renzi e Gentiloni, né con la proposta del “reddito di cittadinanza” tanto cara a Di Maio.

Infatti, a differenza del “Baratto Sociale” sia il “reddito di inclusione” che il “reddito di cittadinanza” si configurano come forme di puro assistenzialismo che oltre a non ridare dignità all’assistito non apportano nessuna utilità sociale alla collettività.

Ora, considerando che oggi sono già diversi milioni i soggetti che in Italia percepiscono, da INPS, una indennità o di disoccupazione o di cassa integrazione, non può sfuggire come sia il “reddito di inclusione” che il “reddito di cittadinanza” non fanno altro che ingrossare il popolo di coloro che godrebbero solo di un puro e semplice assistenzialismo.

Non solo, ma poiché a questi soggetti non è richiesto alcun impegno compensativo verso la collettività in termini di utilità sociale, molti approfittano del loro tempo per svolgere lavori e lavoretti di ogni genere, assolutamente in nero per non perdere le indennità di disoccupazione o di cassa integrazione.

Per conoscenza diretta posso affermare che non pochi sono i disoccupati ed i cassintegrati che, con questo espediente, si procurano introiti extra non tassati alimentando così il mercato del lavoro sommerso.

Mi domando come mai i politici nostrani non arrivino a comprendere che, mettendo a frutto i miliardi di euro spesi in sterile assistenzialismo, potrebbero risolvere molte carenze di servizi, a livello non solo locale, ridando nel contempo dignità agli assistiti.

Certo ai politici si richiederebbe impegno, capacità ed intelligenza per cercare e progettare soluzioni nuove prendendo esempio proprio dagli amministratori di Altopascio.

Già, ma a loro che glie frega, tanto a pagare i costi dell’assistenzialismo sono i contribuenti !