L’atteggiamento del Governo italiano sminuisce, di fatto, il ruolo della Corte penale dell’Aja, strumento necessario per perseguire i crimini di guerra e contro l’umanità.

Partiamo da un dato inconfutabile: c’è un mandato d’arresto della Corte penale internazionale a carico di Najeem Osema Almasri Habishad Almasri per una serie di crimini tra cui l’oltraggio alla dignità personale, il trattamento crudele, la tortura, la detenzione illegittima, lo stupro, la violenza sessuale e l’omicidio. Un criminale certamente non di secondo piano.

Il “presunto” criminale libico, liberato a seguito di un’inerzia del Ministero della Giustizia - di cui bisognerà attendere le motivazioni formali - che ricevuto il carteggio, non avrebbe attivato la procedura prevista davanti alla Corte d’appello di Roma per la consegna dell’arrestato alla Corte penale dell’Aja.

Così facendo l’Italia non ha ottemperato all’obbligo di cooperazione accettato e ratificato quando ha sottoscritto lo Statuto della Corte penale internazionale.

Voglio ricordare al lettore che l’art. 86 dello Statuto obbliga tutti gli Stati firmatari che lo abbiano ratificato a collaborare pienamente (“full cooperation”) con la Corte nella conduzione delle indagini e nella persecuzione dei crimini che ricadono sotto la sua giurisdizione. Per di più, la scelta di non consegnare Almasri, espellendolo dal territorio dello Stato per rimandarlo in Libia, a mio parere, pone il nostro Paese in una posizione critica anche verso le Nazioni Unite.

Dovremo leggere le motivazioni giuridiche di questa decisione però due cose sono evidenti: una politica, riguardante la netta prevalenza del potere esecutivo rispetto a quello giurisdizionale, l’altra perlomeno morale, riguardante le discrasie di politica criminale di questo governo che punisce con l’arresto chi si siede pacificamente in mezzo alla strada e rimette in libertà un presunto autore di cimini di guerra e contro l’umanità.  

Mi chiedo: davvero non era possibile per l’Italia fare meglio?

Il ruolo del Ministro della Giustizia nella cooperazione con la Corte penale internazionale è di carattere servente, non decisionale. Ricordo, inoltre, che, al contrario della procedura di estradizione ordinaria, dove il Governo, attraverso il Ministro della Giustizia mantiene un potere discrezionale di carattere politico, nella cooperazione con la Corte penale internazionale il Ministro svolge soltanto un ruolo esecutivo.

Ai sensi della legge n. 237 del 2012, il Ministro della giustizia “provvede” alla consegna (art. 13 comma 7), quando la procedura giudiziaria sia conclusa con esito positivo, al contrario, nella disciplina di estradizione ordinaria, egli mantiene la prerogativa, di “decidere nel merito” (art. 708 comma 1 c.p.p.).

L’interpretazione della Corte d’appello di Roma in sostanza ha dato un ruolo chiave - preclusivo - al rappresentante dell’esecutivo in un meccanismo di cooperazione che invece lo vede assolutamente privo di potere decisionale nel merito. Siamo dunque in un sistema nel quale l’Italia, poiché membro della Corte e alla pari di tutti i Paesi che aderiscono allo Statuto di Roma, è tenuta alla piena cooperazione.

In base ai fatti oggi noti, sembra che, in tal caso, questo non sia accaduto.


Vincenzo Musacchio, criminologo, docente di strategie di lotta alla criminalità organizzata transnazionale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). È ricercatore indipendente e membro ordinario dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra