Prendiamo uno dei profili social di Matteo Salvini e scorriamo le sue ultime affermazioni, anche se - va ricordato - quello che lui dichiara è per la maggior parte opera di chi gli gestisce gli account. In ogni caso, lui ne è responsabile e pertanto quello che vi è riportato è logico che gli venga attribuito.

Qual è la cosa che salta agli occhi? Le banalità alla ricerca del consenso, con le quali viene promosso ciò che al momento sia ritenuto di tendenza con commenti che di per sé debbano rispecchiare il sentire comune... in base alla collocazione politica (maggioranza o opposizione).

Come tradurre il concetto? Banalmente in questi termini. Salvini glorifica l'atleta vincente, si commuove per la scomparsa del personaggio famoso, anticipa un nuovo provvedimento in contrasto ad un fatto accaduto, si indigna per quanto fatto da uno sconosciuto, sbeffeggia la dichiarazione di un avversario politico, parla di calcio, accarezza cani e gatti... e via di questo passo.

Il tutto è accompagnato dai commenti entusiastici di bot che applaudono le gesta del "capitano" per far da traino a quelli di utenti che quotidianamente si beano delle banalità di Salvini.

Tutto ciò ha un fine: la personalizzazione della politica ovvero incarnare in un singolo le aspirazioni delle persone. E dato che il singolo, in questo caso Salvini, ha ben presente tale fine, nei suoi account social lo vediamo fare affermazioni che, nel corso del tempo, sono l'esatto contrario di ciò che aveva detto in precedenza. 

Ma lui non se ne vergogna, anche perché è sicuro che chi va a votare non se lo ricorda.

L'aspetto ancor più assurdo di tutto questo è che la personalizzazione della politica, in Italia, non dovrebbe avere alcun senso, perché l'attuale assetto istituzionale organizzato dalla Costituzione dovrebbe dar forza ai partiti, ai gruppi parlamentari e non certo ai singoli. Purtroppo non è così, ed è anche per questo che alcuni cercano di modificarlo.

L'esempio di Salvini è il più eclatante, ma non l'unico e non riguarda solo la destra. 

Quali conclusioni possiamo rilevare da tale situazione? 

Che gli elettori, o più correttamente, chi va ancora a votare decide di premiare le argomentazioni di tizio e caio pronunciate al momento in relazione al caso del giorno, quello che fa tendenza, e neanche si fa venire in mente quale sia il progetto di Paese di un partito, quali siano le garanzie di rappresentatività offerte, quali potranno essere le risposte ai rapidi e improvvisi cambiamenti imposti alla società dalle sempre più rapide evoluzioni che spaziano dalla tecnologia fino a quelle geopolitiche. 

In pratica, i politici odierni non hanno visione, non hanno strategia, ritenendo che l'interesse degli italiani sia limitato a chi vinca le elezioni, paragonate - anche dai media - ad una competizione sportiva, dove la finalità è la conquista del potere, non quello di operare al meglio per il bene della comunità  che viene sbandierato nelle campagne elettorali, ma solo come etichetta di cui non si può fare a meno. 

Così, gli appuntamenti elettorali non sono più per gli elettori un'occasione per incidere sul proprio futuro, ma solo l'ultimo riscontro ufficiale sul consenso di questo o quel politico. E questo è+ ciò che accadrà anche per le prossime elezioni europee.

Ma tutto ciò non ha senso... a partire dall'andare a votare.