Il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha espresso pieno sostegno alla decisione del capo dell'Aeronautica Militare Israeliana (IAF) di licenziare i riservisti che hanno firmato una lettera di critica alla guerra in corso contro Hamas. La mossa, annunciata in un clima di crescente tensione interna, riaccende il dibattito sul rapporto tra dissenso politico e disciplina militare in tempo di guerra.
In una dichiarazione ufficiale, Netanyahu ha definito imperdonabile il contenuto della lettera, accusando i firmatari di indebolire le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e di avvantaggiare i nemici dela nazione. "Rifiutarsi di servire è rifiutarsi di servire, anche se mascherato da un linguaggio edulcorato", ha affermato il premier israeliano, sottolineando come tali posizioni minaccino la coesione nazionale in un momento critico.
I firmatari della lettera, tuttavia, respingono le accuse di diserzione: l'obiettivo non è rifiutarsi di servire, ma una richiesta al governo di privilegiare la liberazione degli ostaggi, anche se ciò dovesse comportare la fine immediata del conflitto. Criticano inoltre l'approccio bellico attuale, definendolo motivato da ragioni politiche più che strategiche.
Netanyahu ha etichettato i riservisti dissidenti come "estremisti" intenti a "distruggere la società israeliana dall'interno", collegando le loro azioni alle proteste di massa del 2023 contro la riforma giudiziaria. In quel contesto, diversi gruppi di riservisti, compresi piloti dell'IAF, avevano minacciato di non presentarsi ai comandi militari, se richiamati, in segno di opposizione a quello che definivano un "regime non democratico". Netanyahu, che non sa che cosa sia il senso della misura quanto quello della vergogna, ha ricordato come Hamas avrebbe interpretato quei segnali di divisione come "debolezza", sfruttandoli per pianificare l'attacco del 7 ottobre.
Le IDF hanno ribadito che l'offensiva di Hamas era stata preparata con almeno un anno di anticipo, suggerendo che le tensioni interne israeliane non ne siano la causa diretta. Tuttavia, il governo insiste nel vedere nel dissenso un pericoloso moltiplicatore di vulnerabilità.
Lo scontro riflette una crisi più ampia: bilanciare sicurezza nazionale e il diritto al dissenso in una democrazia sotto pressione. Mentre Netanyahu accusa i critici di voler "far cadere il governo", i riservisti pongono interrogativi scomodi sui costi umani e politici della guerra.
Che la guerra a Gaza sia un fallimento, lo dicono pure fonti militari israeliane riportate dai media dello Stato ebraico. Hamas è ancora viva e vegeta e le perdite subite sono state sostituite da nuovi arruolamenti. Oltretutto il movimento di resistenza sfrutterebbe la propria rete di tunnel per agire, poiché solo il 25% di essi è andato distrutto.
A dimostrazione di ciò, i vertici delle IDF avrebbero modificato le proprie modalità di azione all'interno della Striscia, per evitare attacchi e agguati che finora hanno causato centinaia di morti e feriti tra le proprie fila.
Ma il dato più eclatante del fallimento di Netanyahu e del suo genocidio è rappresentato dal fatto che quasi tutti i prigionieri israeliani sono stati liberati con il cessate il fuoco. Quelli vivi ancora rimasti rischiano di essere uccisi, anche loro, dai bombardamenti dell'IAF.