Lo hanno battezzato il “governo dei migliori”, voluto dal sistema e con la "benedizione" del Quirinale sin dal 2018, la cui realizzazione è stata affidata in prima battuta a Salvini con Berlusconi e la Meloni all’opposizione con il PD; fallita la prima imboscata grazie al garante è subentrato in seconda battuta Renzi e il PD allo scopo di recuperare i voti persi e sgambettare definitivamente la scomoda presenza di una forza democraticamente costruttiva: per Conte e i 5S alla guida del Paese sono stati due anni di calvario ma che hanno ben impiegato realizzando alcune riforme significative che stanno per essere eliminate dall’attuale esecutivo.
Il “garante” in preda a una sua “visione” obbligava i riottosi del suo Movimento a sostenere questa congrega che rappresenta la “crema” del sistema partitocratico filo confindustriale e bancario speculativo, definendo pubblicamente addirittura “grillini” il nuovo premier e il ministro per la transizione ecologica.
Parlare dei disastri dei “migliori” è ancora prematuro e sarebbe da masochisti, sicuramente i danni supereranno il disastro dell'ultimo conflitto mondiale... invece è importante ricordare quello che stiamo perdendo del buono che è stato realizzato da un governo di “bibitari, scappati di casa” ecc. ecc. e valutare i pericolosi segnali antidemocratici, violenti e sovversivi che si sono manifestati in più occasioni.
Prendiamo il Decreto Dignità. Era necessario frenare l’eccessiva precarizzazione del mercato del lavoro dove per decenni Confindustria ha pescato a piene mani: in cambio di contratti a termine per i giovani fino ai 25 anni avevano ottenuto forti sgravi fiscali, non bastando attraverso una serie di espedienti para-legali, utilizzando il licenziamento, gradualmente hanno sostituito lavoratori con i contratti a tempo indeterminato ritenuti troppo onerosi con giovani con contratti a termine: un ottimo sistema per ridurre i costi del lavoro, aumentare i profitti e indebolire i diritti dei lavoratori. Per questo la nuova legge stabilisce che in ogni singola azienda i contratti a tempo determinato non possono superare il 30% di quelli a tempo indeterminato. Nella fattispecie rientrano anche i contratti in somministrazione che, se fraudolenti, comportano una multa di 20 euro al giorno. I contratti a termine che superano i 12 mesi e per i quali non vengono riportate le motivazioni che rendono plausibile l’assunzione a termine diventano automaticamente di durata indeterminata. Nel lavoro in somministrazione decade l’intervallo tra un contratto a termine e un altro, tale continuità permette di maturare dei diritti che Confindustria non vuole assolutamente riconoscere inoltre viene estesa da 30 a 35 anni l’età per assumere lavoratori usufruendo di un bonus del 50% sui contributi dovuti dalle aziende che può essere erogato al massimo per 3 anni con un tetto di 3mila euro all’anno. Una misura che costerà 300 milioni di euro per il prossimo triennio, finanziati dalle tasse sulle slot machine e gli apparecchi da gioco.
In caso di licenziamento illegittimo, laddove c’è un’offerta di conciliazione, le mensilità con cui indennizzare il lavoratore vanno da un minimo di 2 a un massimo di 27 (contro le 18 mensilità massime previste dalle vecchie norme).
I voucher possono essere usati dalle strutture ricettive che hanno al massimo 8 dipendenti e possono diventare mezzi di retribuzione per i lavoratori con una età massima di 25 anni, disoccupati, per chi già gode di forme pubbliche di sostegno al reddito e pensionati.
Importantissime le disposizioni relative alle aziende che delocalizzano nei 5 anni successivi la ricezione di contributi pubblici saranno multate fino a 4 volte l’importo delle sovvenzioni ricevute, fondi che verranno impiegati per stimolare il mercato del lavoro. Le dislocazioni delle imprese del nord finora sono state pagate con i soldi dei contribuenti italiani, oltre alla perdita di posti di lavoro anche la beffa di fornirgli i capitali per mandare sul lastrico l’economia nazionale.
Una normativa in materia di retribuzioni e diritti dei lavoratori comune a tutti i membri della UE eviterebbe la concorrenza sleale di quei paesi membri che praticano salari molto bassi e forti sconti fiscali divenendo la meta di imprese il cui scopo primario è aumentare i loro profitti. Una legge che stabilisca un salario minimo garantito introdurrebbe un elemento di equilibrio tra domanda e offerta di lavoro e tutelerebbe le fasce più deboli, male o peggio non rappresentate dai sindacati. Una buona, equa e completa normativa in materia di lavoro eliminerebbe molti conflitti e limiterebbe di fatto il ricatto dell’imprenditoria nei confronti dei lavoratori. Nel trimestre marzo/maggio i contratti precari sono aumentati a 188 mila mentre i contratti a tempo indeterminato sono scesi a 70 mila, la Confindustria pretende la cancellazione delle norme più significative del Decreto Dignità dopo averne sospeso di fatto l’efficacia e gli effetti sono visibili. Se si analizzano i dati ISTAT relativi al mercato del lavoro, considerando lo scorso maggio i contratti precari sono 93 mila contro i circa 6 mila a tempo indeterminato.
Direttamente connesso al problema del lavoro vi è l’utilizzo del Recovery Fund che il governo dei “migliori” ha trasformato nel solito “pozzo di San Patrizio” senza controlli ad uso e consumo esclusivo della Confindustria & C. Infatti, il “ministro” Brunetta da buon servitore del sistema emana un decreto che stravolge e limita il potere di prevenzione anticorruzione dell’Anac, da buon ipocrita si appella alla semplificazione delle procedure amministrative in materia d’appalti ripristinando di fatto la legge obiettivo di Berlusconiana creatività. Questo signore si giustifica dicendo che l’Anac non deve essere l’unico ente istituzionale anticorruzione al quale delegare tutti i controlli in materia di investimenti pubblici infatti alle critiche il ministro berlusconiano ha replicato: “Le prerogative dell’Anac devono essere assolutamente intangibili, ma possono essere ‘complementarizzate’, cioè allargate, attraverso la strategia culturale, organizzativa, di trasparenza, di tutte le amministrazioni”.
E' commuovente con quanto zelo il ministro berlusconiano difenda la trasparenza e si prodighi a snellire le procedure e i controlli a favore degli appaltanti. Sono rimasta sbalordita che questo “sgoverno dei migliori” abbia approvato la mostruosità del ponte sullo Stretto, un’opera inutile, costosissima, definita non prioritaria dalla commissione UE che rifiutò vent’anni fa di finanziarlo infatti questa follia sarà pagata con i soldi dei cittadini e non dai fondi europei con un enorme aumento del debito pubblico. E' senza dubbio un’opera rischiosa per le condizioni geofisiche dei fondali marini dello stretto infatti vi sono faglie profonde e sconosciute, in quella zona si “scontrano” due placche continentali con esiti imprevedibili. Inoltre vi è da considerare la dorsale vulcanica attiva che corre dall’Etna al Vesuvio. Per l’imprenditoria del nord era importante un governo che gli permettesse di “privatizzare” i fondi pubblici a propria discrezione, con tecnici che praticano il liberismo con le tasche degli italiani.
Un altro intervento per rendere gioco facile all’utilizzo dei fondi pubblici ed europei è stata l’emanazione del decreto Brunetta in particolare l’art. 6 nasce proprio per creare conflittualità tra l’Anac e il ministero in quanto è sostanzialmente un doppione dei piani anticorruzione e può creare per questo solo confusione, Cantone ex capo dell’Anac prende posizione in merito: “Questa norma rischia surrettiziamente, nella sua applicazione, di rappresentare un arretramento significativo in materia di prevenzione della corruzione. Può fare diventare il piano nazionale anticorruzione un adempimento burocratico perché gli fa perdere centralità, può trasformarlo in un semplice tassello che entra in un contenitore più ampio”. Lo Stato, quello buono, è stato di nuovo miseramente sconfitto.
Proseguendo la visita in questo cimitero della civiltà, arriviamo dinanzi alla lapide dei diritti civili. I sintomi del terribile morbo di cui è affetta la società italiana si sono manifestati in maniera eclatante al G8 di Genova durante la manifestazione pacifista del 20 luglio 2001 organizzata dai movimenti no-global e altre associazioni pacifiste. I partecipanti furono coinvolti in scontri tra le forze dell’ordine durante i quale venne ucciso un manifestante Carlo Giuliani.
Come mai una manifestazione dichiaratamente e sostanzialmente pacifista finì in cariche delle forze dell’ordine, in pestaggi e in un inutile omicidio?
Una chiave di lettura di quello che sarebbe accaduto in quel tragico 20 luglio emerge dalla pubblicazione di un fascicolo riservato composto da circa 40 pagine redatto dalla questura di Genova nel quale veniva segnalato il grado di pericolosità dei gruppi partecipanti indicandoli con un codice colorato: blocco rosa bassa pericolosità (rete Lilliput, organizzazioni cattoliche, ambientaliste e associazioni per il condono dei debiti dei paesi poveri); i blocchi blu e giallo possibili atti di vandalismo, blocchi stradali e ferroviari, possibili incidenti, disordini e attacchi contro le forze dell’ordine (al cento di Genova era un po’ improbabile); il blocco nero risultava composto da elementi di estrema destra appartenenti a Forza Nuova e Fronte Sociale Nazionale che costituivano un reale pericolo per le forze dell’ordine perché avrebbero potuto infiltrarsi tra le tute bianche dei movimenti pacifisti.
In base a questa relazione nella quale si descrivevano anche le modalità di attacco (il redattore era sicuramente in preda a un autentico delirio paranoide) le “povere” forze dell’ordine hanno attaccato le tute bianche per timore che tra queste vi fossero dei facinorosi che potevano recare loro danno. Vediamo come:
“(....) lancio di frutta con all'interno lamette di rasoio o di letame e pesce marcio tramite catapulte, blocchi stradali e ferroviari, lancio di migliaia di palloncini contenenti sangue umano infetto, uso di fionde tipo falcon per lanciare a distanza biglie di vetro e bulloni allo scopo di perforare gli scudi di protezione e i parabrezza dei mezzi in uso alle forze dell'ordine limitandone la capacità di movimento, lancio di copertoni in fiamme, rapimento di esponenti delle forze dell'ordine e uso di auto con targhe dei Carabinieri falsificate per avere accesso ai varchi della zona rossa”.
Ma la parte più inquietante e a dir poco “strana” del documento era quella relative a iniziative non violente e del tutto legittime quali il: “costituire gruppi con conoscenze giuridiche per affrontare tutte le problematiche relative ad eventuali problemi giudiziari e legali con le forze dell'ordine, il munirsi di computer portatili e radio ricetrasmittenti nonché di telecamere per trasmettere in tempo reale sul circuito Internet le immagini della protesta o l'affittare, anche per poche ore, un canale satellitare per divulgare la protesta a livello mondiale”.
Per la cronaca: non vi erano black bloc e tale gruppo è un movimento pacifista, la stampa estera usò questo termine per indicare genericamente i manifestanti violenti ma in realtà, tra le centinaia di fermati e arrestati durante i giorni del vertice, nessuno risultò essere aderente al sistema dei Black Bloc e inoltre esso smentì la sua partecipazione ai fatti del G8 di Genova, smarcandosi dalla cattiva fama attribuitagli dai giornalisti, cambiando il suo nome da Black Bloc, "blocco nero", ad Antrax Bloc, "blocco antracite".
Evidentemente la parte violenta ed eversiva delle forze dell’ordine non era soddisfatta della tragica conclusione della manifestazione: nella tarda serata viene organizzata un’operazione di polizia alla quale parteciparono ingenti forze, la Corte di appello di Genova stimò il contingente in circa “346 poliziotti, oltre a 149 carabinieri che circondarono tra le 22 e la mezzanotte le scuole Diaz-Pertini e Pascoli divenute sedi del coordinamento del Genoa Social Forum a capo del quale vi era Vittorio Agnoletto: il blitz si concluse con il fermo di 93 attivisti e 61 feriti alcuni in gravi condizioni e uno in coma.
l 12 giugno 2007 Michelangelo Fournier, all'epoca vice questore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma, rilasciò le seguenti dichiarazioni agli inquirenti:
"Arrivato al primo piano dell'istituto ho trovato in atto delle colluttazioni. Quattro poliziotti, due con cintura bianca e gli altri in borghese stavano infierendo su manifestanti inermi a terra. Sembrava una macelleria messicana. Sono rimasto terrorizzato e basito quando ho visto a terra una ragazza con la testa rotta in una pozza di sangue. Pensavo addirittura che stesse morendo. Fu a quel punto che gridai: 'basta, basta' e cacciai via i poliziotti che picchiavano. Intorno alla ragazza per terra c'erano dei grumi che sul momento mi sembrarono materia cerebrale. Ho ordinato per radio ai miei uomini di uscire subito dalla scuola e di chiamare le ambulanze".
Gianfranco Botta fu il primo giornalista ad entrare nella scuola Diaz e le sue immagini fecero il giro del mondo: finirono sotto accusa 125 poliziotti, compresi dirigenti e capisquadra.
In tredici anni di procedimenti penali contro i responsabili delle violenze, di irregolarità e falsi nelle ricostruzioni ufficiali, non si è ottenuto quasi nulla, la maggior parte dei casi si sono conclusi con assoluzioni dovute all'impossibilità di individuare i diretti responsabili dei reati o per l'intervenuta prescrizione.
Arnaldo Cestaro, uno dei feriti, si rivolse alla Corte europea dei diritti dell'uomo che nell’aprile del 2015 condannò lo Stato italiano al pagamento di un risarcimento di 45 000 euro, nelle motivazione della sentenza la Corte sottolinea la violazione degli articoli 3, 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, relativo alla tortura e alle condizioni e punizioni degradanti e inumane.
Il 22 giugno 2017 la stessa Corte ha nuovamente condannato l'Italia per i fatti della scuola Diaz, riconoscendo che le leggi dello Stato risultano inadeguate a punire e a prevenire gli atti di tortura commessi dalle forze dell’ordine.