L’Italia non troverà mai pace. Si è unita per sbaglio, secondo alcuni, a tavolino per altri; la popolazione non si è mai integrata e si è nutrita di animosità endogene per ragioni etniche e politiche, finché a unirla non è intervenuto “ lo straniero”. Andrà meglio altrove? Forse no, ma questa nostrana e strutturale atmosfera di astio, quando va bene, se non di odio inveterato contro tutto e tutti, ammorba lo stivale, che andrebbe bonificato: i cittadini in grado di farlo, se ne vanno, quando capiscono che l’atmosfera emotiva è inquinata e radioattiva per la psiche.
Uno dei problemi che fa partire l’embolo agli haters italiani, del web o meno, è la cooperazione, rappresentata da ONLUS e organizzazioni più o meno conosciute. Ebbene, cari idrofobi del volontariato, stiamo (quasi) per darvi ragione. Forse non per i motivi che vi piacerebbero, ma un cachet per il mal di testa, ci sentiamo di regalarvelo.
Checché, come direbbe Totò, insomma, per male che se ne voglia dire, persone come Gino Strada o i Medici senza Frontiere svolgono un lavoro egregio e se li si attacca, i motivi sono strumentali e nulla hanno a che fare con la loro competenza, qualità, peraltro, in Italia sempre disprezzata.
Vero è che nei decenni le organizzazioni di volontariato operanti in quello che era chiamato “terzo mondo”, ma pure secondo, sono proliferate. Come sono aumentati i centri che rifanno le unghie, o quelli estetici, e ciò non significa che siano per forza coperture o bordelli, così evidentemente può essere che qualcuno abbia trovato in questa attività “solidaristiche” fonte di guadagno e di spolvero politico, ma non ci occupiamo di loro sotto questo profilo, né delle cause che hanno portato alla situazione attuale: anche perché, se molti danno fiato alla bocca con alambiccate spiegazioni di chi ha poco studiato la storia, la realtà è complessa e non ci sono le condizioni di serenità, in questo paese, per un sereno e profondo confronto.
Cosa può spingere onesti cittadini a muovere verso un Bangladesh piuttosto che un Ciad o un Belize? Probabilmente li muove il desiderio di fornire una minima possibilità di istruzione ai bambini, scavare pozzi per l’acqua, regalare un generatore di corrente, invece che costruire falansteri finanziati da multinazionali, magari destinati, nelle pompose dichiarazioni, a diventare ospedali, per poi abbandonarli a marcire, privi di allacciamenti e macchinari.
Immaginiamo che le intenzioni iniziali dei volontari siano sempre ottime e che nessuno sia divenuto miliardario lavorando nella savana, mettendo a rischio la salute e la vita, in cambio, generalmente, di insulti e minacce in patria. Il terzo settore oggi non si atteggia più a beneficente, alla vecchia maniera. Si cerca di stimolare la formazione, insegnare il know how, in modo che le popolazioni in maggiore difficoltà si aiutino, che il Ciel le aiuta.
Per quanto abbiamo potuto osservare personalmente, gli abitanti di questi remoti luoghi, qualcosa hanno ricevuto, e si impegnano a ricompensare i sostenitori mostrando buona volontà, nonostante gli stomaci non siano pieni , manchi l’acqua, e la scuola più vicina sia a chilometri ma…
…ma i paesi beneficati, ovvero i loro governi, come si comportano? Ben lieti che qualcuno provveda al loro posto, spesso lasciano fare, senza muovere un dito per allestire strutture minime. Se la ONLUS va in difficoltà decade tutto, scuola, granaio, e orto, e si ricade in una miseria dolorosa, quella di chi aveva sfiorato un tocco di fortuna. Se i finanziamenti all’organizzazione di turno traballano, si privilegia un piano di aiuto rispetto a un altro, e non saranno le fotografie dei ragazzini a noi assegnati, col ringraziamento di rito, a rassicurarci sulla destinazione dei nostri soldi. Non tutti si fanno consolare dal fatto che “ti costa un caffè al giorno”.
Può succedere che piovano robuste erogazioni da nuovi “esploratori” come ricchi regni arabi o colossi dell’ estremo oriente, ma con un prezzo da pagare e il rischio di creare nuovi satrapi, in posti che se ne sono da poco liberati; e i cui capi politici hanno ormai un’ottima preparazione per lo scenario internazionale, ma restano al palo.
I paesi che non partecipano del “benessere” tendono ancora la mano, o rivendicano rabbiosamente il diritto di calare in occidente per rifarsi dello sfruttamento subito, e alla fine hanno tutti ragione: chi ama, chi odia, chi aspira, chi ruggisce, chi snobba. Non si può obbligare a fare del bene, tanto più che chi si rifiuta di aiutare paesi lontani con la scusa della priorità per i problemi a noi più vicini, spesso non fa nulla per nessuno.
Gli “occidentali”, ancora detentori di un potere se non altro di fascinazione su chi non ha nulla di garantito, devono finirla con le dispute ideologiche sulla testa degli ultimi, con la retorica in nome dei lumi e delle ideologie, del progressismo e dei diritti civili; smetterla con le prediche morali sulla correttezza politica in paesi in cui le famiglie mettono insieme tre pasti che per quantità costituiscono la nostra colazione e di cui non si conoscono ricche culture ignorate, solo perché Voltaire non vi ha messo piede.
Tuttavia anche le nazioni oggetto di attenzioni da parte delle ONLUS dovranno prima o poi strutturarsi, costituire un sistema fiscale, inserirsi nel circuito delle nevrosi da dichiarazioni dei redditi, sanzioni, ricorsi, assicurazioni, e finirla con quel meraviglioso kaos antropologico che fa molto “Cuore di tenebra” e affascina le menti curiose, ma tiene inchiodati alla miseria e rende terreno di caccia e di sfruttamento le terre di milioni di persone. Di fratelli in umanità.